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06 APRILE 2025
IlTicino.it - La fedeltà nel lavoro e nella Costituzione

La riflessione del Dott. Gustavo Cioppa, Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

Di Dott. Gustavo Cioppa, Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

Come un organismo vivente non può proseguire nella sua vita senza che tutti i suoi organi vitali funzionino adeguatamente, così nemmeno lo Stato può preservarsi e correttamente funzionare, senza i contributi dei suoi cittadini, senza cioè che gli animi dei cittadini siano desti e pronti e maturi per contribuire al perseguimento del bene pubblico. La metafora adottata da Menenio Agrippa è perennemente attuale e bene fa comprendere cosa si intenda per “Stato-comunità”. Quella da ultimo accennata, lungi da costituire una sfocata immagine teorica, rappresenta una realtà che sperimentiamo tutti i giorni e che contribuisce alla nostra maturazione come persone. Così, un ruolo centrale in questo processo di accrescimento è rivestito dalla memoria, dalla memoria collettiva, senza la quale la stessa Carta Costituzionale avrebbe ben poco significato. Affinché non si venga  a ripresentare uno scenario ove tutto è oscurato, anche le coscienze, è fondamentale che la coscienza e la memoria tornino a parlare di sé a gran voce, facendo riecheggiare le corte della legge morale dentro di noi, facendoci cioè comprendere il senso del nostro essere autentico, il quale non può essere se non nella comunità e per la comunità. È imprescindibile allora recuperare questa prospettiva, in un contesto, non solo quello attuale, ma anche quello contemporaneo in generale, caratterizzato dalla frammentarietà e dall’individualismo. La nostra Repubblica e la nostra Costituzione su tutto si sono fondate meno però che su un approccio individualistico ed egoistico. Anzi, forte è il senso di attaccamento sociale ai valori fondanti della nostra Nazione, del nostro popolo, del nostro essere collettivo, in una parola, della nostra comunità. Uno Stato diviso, non solo è debole, ma, prima ancora, rischia un processo di spersonalizzazione e di perdita di significato dello Stato stesso. Nella Costituzione non ci sono mai diritti e doveri allo Stato puro, ma, quasi sempre, diritti-doveri…perché il diritto e il dovere parlano la stessa dialettica e costituiscono due medesime realtà complementari della stessa essenza: l’appartenenza a una comunità appunto. Su questa poetica letteraria, giuridica e morale si muovono fondamentali norme costituzionali, come l’art. 4 Cost. e l’art. 54 Cost. Nel primo articolo si consacra il lavoro come diritto e al tempo stesso dovere del cittadino. Il lavoro cioè non viene inteso, in senso riduzionista, quale strumento di sostentamento, ma, ben più profondamente, come opportunità (chance in termini civilistici) per realizzare nella sua pienezza la personalità umana di ciascuno e, al tempo stesso, quale dovere di fonte pubblicistica per il miglioramento della società in cui viviamo. Solo in tale prospettiva può giustificarsi e comprendersi il tenore letterale e concettuale dell’art. 54 della Costituzione, secondo cui “tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi previsti dalla legge”. La fedeltà non rappresenta solo un elemento compositivo dell’ontologia del rapporto di lavoro dipendente, caratterizzandosi piuttosto come precetto assai più ampio, afferente ai generali doveri di buona fede e lealtà comportamentale che, come precisato dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, permeano di sé l’intero ordinamento. Ecco allora che questa fedeltà, del dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne le leggi, si traduce nell’obbligazione primaria e più importante di tutte, quella che lega ciascun individuo alla collettività e che solo in tale prospettiva fa al primo assumere significato pieno. Non è un caso se questa fedeltà possiede i caratteri del sacro, al punto di essere definita sacra, in relazione al dovere di difesa, dall’art. 52 della Costituzione. Sotto tale profilo, si deve ricordare certamente chi di tale fedeltà è stato esemplare espressione, come espressione esemplare dell’adempimento del dovere lavorativo al servizio dello Stato. Il riferimento è alle “vittime del dovere”, ossia a una vastissima categoria di servitori della Repubblica, che hanno con coraggio e grande senso etico e impegno lavorativo, servito lo Stato e bene rappresentato i valori di cui esso è espressione, sino alla morte o all’invalidita’ grave. Queste persone, in altre parole, hanno posto in posizione di priorità la comunità rispetto a loro stessi, sacrificandosi per la protezione del bene comune e adempiendo lodevolmente al proprio dovere. È doveroso, necessario e fondamentale ricordare sempre queste figure di eroismo quotidiano, che rischiano di venire dimenticate dai mass media, forse più attenti ad altre tematiche. Il ruolo di queste figure è peraltro stato determinante nei momenti bui del secolo scorso, ove solo grazie alla solidarietà (art. 2 Cost.) di cui esse sono state alta manifestazione si è riusciti ad edificare la Repubblica, partendo dalle macerie lasciate da un’oscurita’ che mai più deve ritornare. Ecco allora il ruolo della memoria perenne e la menzione a fondamentali norme costituzionali, non solo l’art. 54, ma anche l’art. 11, che sancisce come l’Italia ripudi la guerra come soluzione delle controversie internazionali, viceversa ricercando la pace. La guerra appunto, un dramma che ha cagionato tante morti e tante invalidità permanenti, che mai più si spera abbia a ripetersi e che purtroppo, invece, ancora è tornata a manifestarsi in varie parti del mondo (in Ucraina ed Israele, ma non solo). Per contrastare queste forze del male è centrale allora recuperare un’autentica forma di amore verso la comunità, il che si traduce in primo luogo nella costante e doverosa riaffermazione del principio di legalità. La legalità, la legalità non solo formale ma anche e soprattutto sostanziale, si traduce infatti in primo luogo in questo: in uno sconfinato amore verso la comunità, che è in definitiva amore verso il prossimo e verso gli altri. Questo principio e questo modo di vivere la vita è il solo che utilmente può contrastare le gravi forme di violenza che lacerano i rapporti umani: la corruzione, i femminicidi, le baby gang, il bullismo. Tutti i reati si accomunano per questo: per essere “lesioni” e “violenze” ai beni giuridici su cui si fonda la vita della comunità e dunque quella dei singoli. Gli altri sono noi, ancora una volta, e solo ripercorrendo una dialettica dell’amore, della solidarietà e della legalità si potrà parlare davvero di progresso. Certamente i contributi dei ragazzi non solo saranno “lavori”, ma appunto “contributi”, perché l’auspicio è che essi divengano cittadini consapevoli del proprio ruolo, come il lavoro giammai va inteso meramente come “lavoro”, bensì come “contributo”.

Tratto da IlTicino.it

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