Chi dona la vita per gli altri resta per sempre
Cronologia delle attività
14 FEBBRAIO 2015
IL GIORNO - Monza, Parla Emanuela Piantadosi - Ergastolano libero di commettere rapine? Associazione infuriata

di DARIO CRIPPA MONZA «IL LUPO perde il pelo ma non il vizio», dice l'adagio. Che sembra fatta apposta anche per Giovanni Misso, il capo della banda di rapinatori di uffici postali e furgoni portavalori messa nel sacco l'altro giorno dai carabinieri di Monza. E si scopre ora che Misso, 60 anni, ex ergastolano resosi latitante, non era la prima volta che organizzava bande di rapinatori. Lo aveva fatto anche in Abruzzo, da cui era fuggito nel 2013 dopo la cattura della sua banda: quattro persone arrestate e accusate di due assalti (e due falliti) ai danni di un distributore di carburanti e di un furgone portavalori in provincia di Pescara. E sul fatto che Misso fosse riuscito a ottenere permessi premio e sconti di pena che gli avevano permesso di lasciare il regime detentivo nonostante l'ergastolo a cui era stato condannato per l'omicidio del brigadiere Ruggero Volpi, parla ora l'Associazione Vittime del Dovere, che riunisce 500 persone in tutta Italia parenti di appartenenti alle forze dell'ordine periti in servizio: «La certezza della pena: un'utopia che si scontra con la cronaca» spiegano. E ripercorrono la vicenda di Misso, dalla «drammatica esecuzione» nel 1977 del brigadiere Ruggero Volpi, nel corso di un tentativo di evasione, fino alla condanna all'ergastolo nel 1981. Fine pena mai? Tutt'altro. Misso, dopo aver usufruito di diverse licenze premio, era tornato in libertà per «buona condotta» nel 2001. E si era dato alla latitanza. «La nostra Associazione - prosegue il comunicato - da anni si batte per la certezza della pena, e questo increscioso episodio non fa che confermare la grandi difficoltà dell'attuale sistema penitenziario che, nonostante le migliori intenzioni, diventa appiglio per i criminali». «Il nostro pensiero va oggi alla vedova Volpi e a sua figlia il cui dolore noi tutti comprendiamo a fondo dichiara la presidente dell'associazione Emanuela Piantadosi, figlia del maresciallo dei carabinieri Stefano Piantadosi, ucciso nel 1980 da un ergastolano in permesso premio . Siamo sconcertati, indignati, che nessun Governo abbia fermamente deciso di mettere mano al comparto giustizia, ponendo al centro degli obiettivi la certezza della pena e conseguentemente la sicurezza dei cittadini e il rispetto per tutti coloro che servendo questo Paese sono stati uccisi».

Tratto da Il Giorno


Tutti i dati contenuti all'interno di questo sito sono di libera consultazione e citazione, è comunque obbligatoria la menzione della fonte in caso di utilizzo. Qualora si pubblichi il contenuto di questo sito, a qualsiasi titolo, senza averne correttamente citata la fonte i proprietari si riserveranno di agire attraverso le autorità competenti.
🡱