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18 GIUGNO 2018
Il Fatto Quotidiano - Antonina, la madre che insegna agli altri a guardare oltre

A VALDERICE, ALLA COMMEMORAZIONE DEL CARABINIERE PIETRO MORICI, UCCISO NELL’AGGUATO DI VIA SCOBAR A PALERMO NEL 1983
di Nando Dalla Chiesa

Memoria nella pietra - La stele commemorativa a Valderice in onore del carabi- niere Pietro Morici

Alle fatidiche cinque del pomeriggio la folla in attesa della cerimonia sulla grande piazza quadrangolare di Valderice si divide rigorosamente in due: quella assiepata sotto il sole e quella messa in salvo oltre la linea dell’ombra. Sotto, il mare trapanese si distende senza fine. Appena un metro al di qua dell’ombra c’è una sedia in stoffa color panna con due braccioli scuri. Vuota, fatta portare dal capitano dei carabinieri in borghese che guida instancabile il cerimoniale. Sembrerebbe la sedia del regista in un film popolato di comparse. Alla sua sinistra la stele che farà da altare civile è coperta da una grande drappo rosso, proprio di fronte al mare. Intorno, pini marittimi e palme e case a due piani. A un certo punto avanza verso la stoffa bianca una piccola teoria di persone, intorno a un completo nero femminile.

Di quelli di una volta, della Sicilia immortalata in foto da Letizia Battaglia. La donna in nero viene accompagnata verso la sedia, su cui altri l’aiutano amorevolmente a sedere. Gli sguardi e le parole sussurrate dicono che la signora non ci vede più. Accomodata su quell’unica sedia all’ombra appare a tutti come una sacerdotessa. È Antonina, la mamma di Pietro Morici, il carabiniere valdericino che qui si vuole ricordare, tra piccoli e orgogliosi reparti schierati, magistrati che hanno contribuito a fare la lotta alla mafia, esponenti di associazioni e amministratori locali, anche alcuni familiari di vittime.

Pietro venne ucciso il 13 giugno di 35 anni fa a Palermo. Aveva lavorato da ragazzo in un negozio d’alimentari proprio vicino alla caserma locale dell’Arma. A furia di frequentarla gli era venuta voglia di arruolarsi, contro il parere dei genitori. Era il più giovane dei tre che i corleonesi sterminarono in via Scobar a Palermo nel 1983: il capitano Mario D’Aleo, l’appuntato Giuseppe Bommarito e, appunto lui, il carabiniere scelto Pietro Morici. Agguato sotto la casa del capitano, comandante della compagnia di Monreale. Sullo sfondo il ruolo vitale, mai abbastanza indagato, di quella città nell’impero del crimine di Totò Riina. La signora Antonina, circondata dai familiari, segue attentamente le parole che ricordano il figlio, simbolico risarcimento per tanti pubblici oblii.

LA SIMBOLOGIA

La signora è anziana, non vede, ma seduta in poltrona sembra una figura mitologica contro i pubblici oblii

“Che sia di esempio ai nostri concittadini”, dice il nuovo sindaco. Poi si incammina con le autorità a inaugurare la stele, tra fiori verdi bianchi e rossi e due carabinieri. Tolto il drappo, una scritta e una fiamma. La benedizione e poi un lungo applauso. Non parla, la signora. Torna alla poltrona. E il suo silenzio riassume una lunga striscia di dolore speciale. Ripiegato, metallico, senza tempo. Il dolore delle madri.

Quindi si accomoda in prima fila davanti al palco allestito per un’intervista-dibattito sulla mafia di ieri e soprattutto di oggi. Per andare oltre la commemorazione. Ma anche per ricordare quel che l’Arma ha dato alla lotta alla mafia in questa parte di Sicilia. La mamma di Piero Morici applaude, accanto alle figlie e accanto alla sorella dell’appuntato Bommarito. E in un quarto d’ora è come se su quella piazza prendesse forma un imperativo: recuperare tutta insieme la memoria dei carabinieri dimenticati. Il giornalista, Attilio Bolzoni, enumera alcuni nomi e cognomi, li mette in fila, ed è obiettivamente impressionante. Poi mentre il dibattito continua si scusa con onestà per avere dimenticato, come quasi tutti, i carabinieri uccisi follemente nella strage della circonvallazione il giugno dell’82. Massacrati per eliminare Alfio Ferlito, il boss detenuto che scortavano. E di nuovo ci si ricorda di un altro carabiniere, il maresciallo Giuliano Guazzelli, ucciso in fondo al triangolo della morte, nella Valle dei Templi, un decennio dopo. Nel pubblico che ascolta ci sono anche i due figli, un uomo e una donna.

Sempre di più, tra quelle dimenticanze rimediate, la signora va assomigliando a una creatura mitologica. Lei che nulla vede costringe tutti a vedere di più e più lontano. A immaginarsi come fosse fatto quel suo figlio quando si guadagnava un salario nella bottega alimentare. A immaginare lei al momento della notizia, e al rapporto che ebbe allora, quando ancora ci vedeva, con il grande mare blu trapanese. A immaginare i tanti volti dei nomi sempre dimenticati. Mentre il vento conquista il piazzale al tramonto, capisci che le cerimonie non sono tutte uguali. E non sempre sono fatte per ripeterci quello che già sappiamo. A volte si impara.

Tratto da Il Fatto Quotidiano

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