Chi dona la vita per gli altri resta per sempre
Cronologia delle attività
03 OTTOBRE 2019
Padova, Sezione Provinciale dell’Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria di Padova, inaugurazione del Museo dei Ricordi in memoria del Magistrato Girolamo Minervini, Vittima del terrorismo

Giovedì 3 ottobre 2019, presso la Sezione Provinciale dell’Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria di Padova, in via Due Palazzi c/o C.R., alle ore 16.30, si terrà la cerimonia di inaugurazione del Museo dei Ricordi in memoria del Magistrato Girolamo Minervini, Vittima del terrorismo.

Alla cerimonia, organizzata dal Presidente Donato Capece, sarà presente anche la Sig.ra Ambra Minervini, orfana del Magistrato Girolamo Minervini e membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione Vittime del Dovere, e il Presidente dell’Associazione Vittime del Dovere Emanuela Piantadosi.

Biografia

Girolamo Minervini nato a Teramo nel maggio del 1919, entrato in Magistratura nel 1943, ucciso dalle BR il 18 Marzo 1980 su un autobus che lo stava portando in ufficio.

Nella sua lunga carriera di magistrato  aveva dedicato la maggior parte del suo impegno professionale allo studio della normativa penitenziaria e alle attività connesse agli istituti di pena, fino ad essere nominato – proprio due giorni prima della sua morte – direttore generale degli istituti di prevenzione e pena.

Già consapevole di essere nel mirino delle brigate rosse – il suo “dossier” era stato trovato tempo prima in un covo – non ha per un solo momento pensato di rinunciare all’incarico che, ne era certo, gli sarebbe costato la vita. Ai familiari  aveva detto che “in guerra un generale non può rifiutare di andare in un posto dove si muore” e aveva rifiutato la scorta per non sacrificare, insieme alla sua, la vita di altre persone: al questore di Roma, Augusto Isgrò, suo vecchio amico, che da tempo insisteva per fargli accettare la protezione armata, rispose: “non intendo far ammazzare tre o quattro ragazzi”.

Uomo modesto, ma fiero del proprio ruolo, ai vertici della carriera in magistratura aveva sempre impedito, a chiunque, di chiamarlo “eccellenza”: per lui “giudice” era parola alta che identifica una funzione di grande rilevanza e quindi non sostituibile. Nelle poche ore libere che i suoi incarichi gli lasciavano coltivava un fazzoletto di terra a Santa Marinella (RM), in compagnia del portiere dello stabile in cui abitava a Roma.

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