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10 GENNAIO 2020
AgenPress.it - Protocollo d’intesa per lavori di pubblica utilità presso la Procura di Napoli: dubbi sull’opportunità e sulle modalità

Agenpress. L’Associazione Vittime del Dovere apprende con perplessità l’iniziativa oggetto del protocollo d’intesa sottoscritto il 13 dicembre 2019 tra il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, la Procura della Repubblica di Napoli e il Garante dei Detenuti della Campania secondo cui, al fine di  promuovere  progetti di lavoro di pubblica utilità, saranno reclutati alcuni detenuti come ausiliari giudiziari (https://napoli.fanpage.it/detenuti-lavoro-procura-napoli/)

Premettendo che il documento riportante il  testo del protocollo non è reperibile  e che quindi possiamo solo riferirci alle evidenze emerse dai giornali, ci permettiamo, a questo punto, di fare le seguenti considerazioni.

Pur partendo dal presupposto sancito dall’art. 27 della Costituzione, “…le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” e da quanto previsto dal D.M. 8 giugno 2015, n. 88 riguardante la messa alla prova dell’imputato in contesti di pubblica utilità, la scelta di servirsi di detenuti, eventualmente per sopperire a carenze di personale in Procura, lascia molto perplessi.

I dubbi sono relativi al fatto che tale opportunità di reinserimento venga proposta in un contesto istituzionale, dove si gestiscono informazioni e dati sensibili, che potrebbero essere facilmente acquisiti o addirittura manipolati da coloro che, paradossalmente, hanno dimostrato nei fatti un “rapporto conflittuale” con la Giustizia in genere.

In particolare, sembra contraddittorio consentire a soggetti, seppure selezionati e solo per brevi periodi, di familiarizzare con l’ambiente di una Procura  importante, come quella di Napoli, molto impegnata nel difficile contrasto alla criminalità organizzata.

Anche se per il semplice trasporto di atti e fascicoli, quale mansione specificata nelle note stampa, riteniamo pericolosa questa iniziativa che potrebbe rappresentare un modo inconsapevole per affrancare delinquenti, i quali potrebbero coltivare relazioni, amicizie o, comunque, umane simpatie, utili nell’immediato o in un prossimo futuro.

Stiamo infatti parlando di detenuti che stanno scontando la pena e che pertanto stanno compiendo un percorso rieducativo ma che non può dirsi certo concluso, dovendo essere testato nel tempo l’effettivo ravvedimento.

Per tali ragioni chiediamo che siano chiariti i criteri, le modalità, i limiti e le verifiche che verrebbero poste in essere per gestire questa iniziativa, bilanciando i diritti della collettività.

Unica spiegazione addotta, per il momento, pare essere la mancanza di personale nella Procura,  che verrebbe colmata con queste aleatorie risorse impiegate in modo temporaneo. E la motivazione appare ancora più inconsistente ed assurda se si pensa sia agli eventuali rischi per la riservatezza delle informazioni ivi reperibili, sia al diverso trattamento riservato ad un qualsiasi operatore del Tribunale che oltre a dover superare un concorso pubblico di accesso per un qualsiasi ruolo, deve essere privo di precedenti penali, rispettando specifici requisiti di condotta e di  qualita’  morali (D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487)

Risulta ancor più sconfortante pensare che tale scelta possa essere una risposta alla mancanza di ausiliari giudiziari, i quali potrebbero essere tranquillamente selezionati presso i centri per l’impiego, enti appositamente istituiti per fornire supporto nel collocamento mirato di tutti i cittadini, con particolare riguardo a coloro che percepiscono il reddito di cittadinanza in attesa di un lavoro e alle categorie protette, tra cui rientrano le Vittime del Dovere, terrorismo e criminalità organizzata.

Perché invece di voler tentare strade insidiose non si pensa di rieducare i detenuti impiegandoli in lavori effettivamente spendibili una volta scontata la propria pena, come artigiani oppure come maestri d’arte e mestieri di cui si sta perdendo capacità e tradizione?

“Honestum et utile” diceva Cicerone nel “De officiis”, trattato filosofico scritto nel 44 a.c. in cui parlava dei doveri morali necessari per la convivenza civile: “Ciò che è onesto è anche utile e ciò che è davvero utile è anche onesto”.

Sarebbe opportuno  che in ambito pubblico lavorino soltanto coloro che non hanno precedenti penali, che rispettano le leggi, le regole e soprattutto gli altri, valorizzando un principio etico fondamentale che è l’onestà.

Emanuela Piantadosi
(Presidente Associazione Vittime del Dovere)

Tratto da AgenPress.it

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