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22 APRILE 2020
La Notizia - Boss fuori dal carcere. Protestano i familiari delle vittime. Nel mirino le maglie lasciate larghe nel Cura Italia. Lo sfogo raccolto in un’interrogazione della Rauti (FdI)

Prima le rivolte in carcere, poi Pasqua a casa per decine di boss e ora centinaia di detenuti “ad alto rischio” che chiedono la misura degli arresti domiciliari. A spezzare le catene dell’isolamento, che metteva al sicuro da un potenziale rigurgito mafioso, è il rischio contagio che assilla un Paese, dentro e fuori, sin troppo provato dal Covid-19. “È proprio quando si aprono spiragli che le mafie riacquistano forza e, non a caso, il nostro ordinamento ha un impianto ad hoc per rendere il sistema carcerario impermeabile”, sostiene l’associazione Vittime del dovere, che condivide gli stessi timori di esponenti dell’antimafia come il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, e il sostituto procuratore generale di Napoli Catello Maresca, finiti nel mirino anche sui social.

IL PUNTO. “Abbiamo precisato che le misure non vanno applicate ai detenuti sottoposti al regime del carcere duro, il 41 bis, a quelli in regime di Alta sicurezza e con una pena residua di 18 mesi che avessero già scontato integralmente la pena per i reati di cui all’art. 4bis dell’Ordinamento penitenziario”, specificano sempre dall’associazione. E a raccogliere le preoccupazioni di Vittime del dovere sarà un’interrogazione parlamentare dei senatori Alberto Balboni, vicepresidente della commissione Giustizia del Senato, e Isabella Rauti di FdI (nella foto). Nelle norme del decreto Cura Italia, l’incompatibilità con il regime carcerario, chiarisce l’associazione, è legata ad un criterio piuttosto blando per decidere la scarcerazione di portatori di malattie di varia natura “cui è possibile riconnettere un elevato rischio di complicanze”, con un ampio ventaglio di patologie, elencate dal Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap).

I CONTATTI. Il Covid19 fa fuori però anche il tabù dei tabù delle carceri con l’ammissione di Skype e posta elettronica. Poco soddisfatta della concessione, la presidente di Nessuno tocchi Caino, Rita Bernardini, che chiede amnistia e indulto perché “non tutte le carceri sono dotate di Skype”. Internet ai condannati ai vertici delle organizzazioni criminali. “È una soluzione pericolosa per i detenuti che si trovano in regime detentivo di alta sicurezza”, critica Emanuela Piantadosi, presidente dell’associazione Vittime del dovere e figlia del maresciallo dei carabinieri Stefano Piantadosi, ucciso da un ergastolano in permesso premio.

Per il periodo dell’emergenza è consentita la comunicazione celere con i docenti e la corrispondenza con i familiari. In videoconferenza i detenuti possono anche affrontare esami di laurea, universitari e colloqui didattici. “Aver abbassato la guardia su un mezzo di comunicazione non facilmente intercettabile potrebbe rivelarsi molto pericoloso – insiste la presidente – così facendo si rischia di far diventare un diritto acquisito una misura presa in circostanze eccezionali”. È un terreno minato la lotta alla mafia preso a pretesto anche da un giornale tedesco per giustificare i mancati aiuti economici all’Italia. “Dichiarazioni inaccettabili che devono però farci riflettere”, conclude l’associazione.

Tratto da La Notizia

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