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08 MAGGIO 2020
Il Giorno - "Quanta amarezza per queste scarcerazioni" - Emanuela, figlia di un maresciallo ucciso da un ergastolano in permesso premio e fondatrice dell'associazione "Vittime del Dovere"

 

Emanuela è figlia di Stefano Piantadosi, maresciallo capo dei carabinieri, nonché Medaglia d’oro al merito civile, ucciso nel 1980 da un ergastolano in permesso premio. Da qui la scelta di Emanuela di fondare l’associazione “Vittime del dovere“ per dar voce a chi, come lei, ha dovuto dire addio a persone care decedute mentre erano in servizio. Sono 500 le famiglie che fanno parte dell’associazione, tutte segnate e accomunate da un lutto in divisa.
Emanuela, che sensazioni suscita in lei la decisione del Governo di scarcerare persone condannate per reati gravi, come mafia e sequestri di persona, a causa della pandemia?
«Provo tanta amarezza e tanto rammarico. Decisioni di questo tipo dimostrano la debolezza dello Stato, di quello stesso Stato nel quale i nostri cari credevano e per il quale i nostri cari hanno dato la vita. L’arresto di boss mafiosi ha avuto un prezzo molto alto in termini di vite umane e altrettanto vale per l’istituzione e la difesa del regime del 41 bis. Ci sono servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la lotta alla malavita organizzata, sia tra gli agenti delle forze dell’ordine sia tra i magistrati. Non occorre che io faccia i nomi».
Però c’è la necessità di fronteggiare un rischio sanitario del tutto straordinario dietro a questa decisione del Governo.
«C’è tanta superficialità in questa scelta del Governo e nessuna giustificazione. L’incolumità dei detenuti deve essere preservata, nessuno mette in discussione il loro diritto alla salute, un diritto universale di qualsiasi uomo. Ma si sarebbe dovuto e potuto approntare un serio piano di prevenzione sanitaria nel contesto delle carceri, ad esempio attraverso l’allestimento di strutture provvisorie a cura della Protezione Civile o dell’esercito all’interno del perimetro delle case di detenzione, come successo altrove. Oppure si sarebbe potuto escludere dalle scarcerazioni i detenuti in regime di 41 bis o di “alta sicurezza“, una richiesta che la nostra associazione ha formalmente avanzato al Governo, ma invano».
Non crede che il sovraffollamento delle nostre carceri rendesse complicato il rispetto di norme e comportamenti anticontagio?
«Il sovraffollamento è un problema storico che purtroppo non si è mai voluto affrontare. Non si è mai voluto avviare un piano di edilizia carceraria, come sottolineato di recente da Nicola Gratteri (magistrato procuratore della Repubblica di Catanzaro ndr). Ma me lo lasci dire: chi è al 41 bis è già in isolamento, è in isolamento per antonomasia».
Vi sentite poco ascoltati dalla politica?
«Sicuramente ci siamo sentiti poco ascoltati in merito alle scarcerazioni previste dal decreto “Cura Italia“ perché abbiamo cercato in tutti i modi di far arrivare le nostre ragioni al Governo senza riuscirci. Il combinato disposto dalle norme vigenti, i provvedimenti del Dap e il decreto ha fatto sì che la nostra v voce si perdesse. Ma ci siamo sentiti poco ascoltati anche in occasione delle recenti rivolte nelle carceri italiane, rivolte decisamente inopportune se si considera il momento  attraversato dal nostro Paese e degenerate in vere e proprie devastazioni. Anche in quel caso lo Stato si è dimostrato debole. Le rivolte e il via libera alle scarcerazioni sembrano rientrare in una stessa logica, in una logica di ricatto nei confronti dello Stato. La nostra associazione chiede da tempo che presso il ministero della Giustizia sia istituito un “tavolo delle vittime“, che possa dare rappresentanza non solo alle vittime del dovere ma a tutte le vittime e controbilanciare, così, la giusta voce dei garanti dei detenuti».

 

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