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21 DICEMBRE 2013
Europa - Verini: "Carceri, adesso non rallentiamo le riforme"

Voglio dire subito che anche noi, di fronte alla notizia della fuga di Gagliano a Genova e a quella di Esposito a Pescara abbiamo provato rabbia, indignazione. Come milioni di italiani anche noi pensiamo che non sia possibile, non sia giusto che possano accadere fatti del genere.

Il ministro ci ha fornito una prima informativa, dopo che nelle ore successive alla fuga erano rimbalzati da Genova incredibili e sconcertanti dichiarazioni secondo le quali non sarebbe stato a conoscenza delle autorità carcerarie il pesantissimo curriculum criminale e psichiatrico del detenuto Gagliano.

Dichiarazioni smentite stamattina (20 dicembre, ndr), sempre sui giornali, da altri soggetti coinvolti nella gestione del fascicolo Gagliano. Questi balletti e scarichi di responsabilità, francamente, lasciano allibiti.

Chiediamo al governo quello che chiedono tutti i cittadini: come prima cosa intensificare, moltiplicare gli sforzi delle forze dell’ordine per riassicurare al più presto alla giustizia Gagliano ed Esposito. Ma accanto a questo, chiediamo che siano rigorosamente accertate responsabilità soggettive nella catena della gestione del detenuto.

Ci sono stati errori, sottovalutazioni, leggerezze, analisi sbagliate? Se ci sono state, devono emergere. Non per spirito punitivo, ma perché è semplicemente giusto e doveroso.

E perché il paese e il parlamento, proprio nel momento in cui siamo impegnati in un lavoro serio e difficile di umanizzazione delle carceri, debbono conoscere i limiti di una macchina organizzativa. Debbono poter riflettere sui 27 anni di funzionamento di una legislazione premiale che io considero civile e positiva, ma che può avere falle applicative, come per esempio ci richiama a fare la presidente dell’Associazione vittime del dovere Emanuela Piantadosi.

Vogliamo sapere poi come funzionano le banche dati ministeriali e del Dap, il registro delle persone detenute, come viene gestito. E capire anche, per fare un altro esempio, i motivi dei ritardi – che si vogliono in parte colmare con il recente decreto – circa l’uso costante di uno strumento utile e necessario come il braccialetto elettronico.

È indispensabile, insomma, evidenziare oltre che eventuali responsabilità soggettive di medici, psicologi, giudici di sorveglianza, magistrati, direzione del carcere anche disfunzioni e limiti strutturali, perché vicende come queste non accadano. Al più presto, anche perché non dobbiamo fare di ogni erba un fascio, o – per usare altra frase fatta – buttare con l’acqua sporca anche il bambino.

Due evasioni in 24 ore di detenuti ammessi ai benefici di legge sono un fatto drammatico e sconcertante.
Ma, per fortuna, non è questa la “normalità”.

Ce lo ricorda oggi in un intervento che considero importante Luigi Pagano, vicedirettore del Dap, così come ce lo ha ricordato l’Associazione Antigone: sono solo due su cento i detenuti ammessi ai premi non rientrati. Nel 2012 cinquantadue evasioni su 25.200 permessi premio richiesti.

E dal 1986 ad oggi – ce lo ricorda sempre oggi Carmelo Cantone – la percentuale di mancati rientri è inferiore allo 0,5%.
Quello che voglio dire, è che i delinquenti debbono stare in galera. Che la certezza della pena non può essere un optional, ma un diritto della società e un dovere dello stato.

Ma con altrettanta forza, voglio affermare che non può e non deve essere consentito a nessuno di usare queste vicende per alimentare paure, per amplificare le giuste, legittime e comprensibili ansie e preoccupazioni dei cittadini, per approfittare di queste vicende per mettere in discussione principi di civiltà giuridica umana come quelli contenuti nella Legge Gozzini.

All’inizio ho usato il termine rabbia. Sì, proprio così. Rabbia, perché questa vicenda cade in un momento in cui il parlamento ed il governo sono impegnati nella definizione di provvedimenti importanti e difficili, per rendere le nostre carceri più umane, per diminuire il drammatico e disumano sovraffollamento, per applicare principi civili e costituzionali di pena come rieducazione, recupero, reinserimento nella società.

E di sicurezza per i cittadini, che possono vivere meglio se chi esce dal carcere dopo aver scontato la giusta pena ne esce rieducato, formato al lavoro, non più a rischio di delinquenza o illegalità.

E la rabbia sta nella preoccupazione che drammatici casi come quello di Genova o quello di Pescara possano essere usati da qualcuno – come sta avvenendo in queste ore, anche da parte di qualche forza politica – per far arretrare questo sforzo, per alimentare paure e pulsioni, per strumentalizzare preoccupazioni di sicurezza che – lo ripetiamo – sono anche nostre.
Del resto, i provvedimenti del governo non sono ancora entrati in vigore e queste gravissime evasioni non possono e non debbono in alcun modo essere strumentalmente collegate ad atti che debbono ancora vedere la luce e l’applicazione.
Chi lo fa, cerca consensi agitando paure.

Ma anche in un momento difficile come questo il paese che, giustamente, chiede che Gagliano ed Esposito vengano rimessi in carcere, che non si ripetano più questi casi, che chiede rigore, certezza della pena, sicurezza, che chiede di colpire chi ha sbagliato anche su questa vicenda, è lo stesso paese che pensa che i principi di umanità e civiltà che stanno scolpiti nella Costituzione sono impressi anche nel nostro dna e vanno affermati e salvaguardati.

scritto dall'On. Walter Verini
Fonte: Europa
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