Rivolgo un saluto ai Presidenti del Senato e della Camera, ai Ministri, a tutti i presenti e a coloro che ci seguono attraverso la tv.
Ringrazio Ezio Mauro per le parole che ci ha rivolto. Ci ha ricondotto con efficacia a tanti momenti ed eventi dolorosi e luttuosi. Ci ha rammentato impegni e doveri cui assolvere. Ci ha presentato prospettive della nostra comune convivenza.
Ringrazio molto Michela Bivacqua e Filippo Ursillo per averci presentato i risultati del loro lavoro: complimenti ragazzi!
Complimenti a coloro che hanno ricevuto un premio, e a quanti si sono impegnati nelle ricerche e nelle attività.
Un ringraziamento al magnifico coro del teatro dell'Opera.
Questa cerimonia austera, sobria - come è giusto - interpreta questo giorno che è di memoria e di solidarietà. Memoria di chi ha pagato con la vita la crudeltà del terrorismo, di chi ha servito le istituzioni e la nostra società, non cedendo al ricatto e alla paura, di chi ha tenuto alta la dignità, divenendo così testimone della libertà di ciascuno di noi.
Ed è proprio la memoria a suscitare solidarietà. Anzitutto nei confronti dei familiari delle vittime, la cui sofferenza, tante volte, è stata aggravata da difficoltà materiali e da quotidiani sacrifici. Ad essi desidero far sentire la mia personale vicinanza, e quella delle istituzioni, consapevole che i sentimenti, che tutti noi oggi esprimiamo, nascono da un senso profondo di umanità e dalla comune coscienza civile.
Questo Giorno vuol essere segno autentico di una comunità che ricorda gli eventi, lieti o dolorosi, che ne hanno attraversato la vita, che sa guardare al futuro proprio perché capace di collegarsi alle proprie radici e di condividere, attraverso momenti difficili e anche dolorosi, un'ideale di persona e di giustizia.
Il nostro Paese è stato insanguinato, dalla fine degli anni Sessanta, da aggressioni terroristiche di differente matrice, da strategie eversive messe in atto, talvolta, con la complicità di soggetti che tradivano il loro ruolo di appartenenti ad apparati dello Stato, da una violenza politica che traeva spinta da degenerazioni ideologiche, persino da contiguità e intrecci tra organizzazioni criminali e bande armate.
Tante, troppe persone sono state assassinate barbaramente e vilmente. Tanti nostri concittadini sono stati colpiti, feriti, hanno portato e portano ancora i segni di quella insensata brutalità. Donne e uomini delle forze dell'ordine, professori, studenti, magistrati, giornalisti, uomini politici, dirigenti d'azienda, commercianti, operai, sindacalisti, militari, amministratori pubblici. Sono divenuti bersaglio perché individuati come simboli, oppure perché l'odio ha preso la forma del desiderio di annientamento, del messaggio trasversale di morte. La logica criminale - e non poteva essere altrimenti - alla fine si è impossessata anche del più ideologico dei gruppi terroristici.
Non dimenticare significa anche fare i conti con questa storia che ha attraversato la vita della Repubblica e ha messo a dura prova quella costruzione democratica che il popolo italiano è riuscito a erigere dopo la Liberazione e che la Costituzione ha reso un patrimonio di valori, non soltanto di norme giuridiche.
Abbiamo appreso che la democrazia non può dirsi mai conquistata una volta per tutte. Abbiamo appreso che la democrazia vince quando non rinuncia a se stessa, ai principi di civiltà che la sostengono, alla libertà, al diritto e al rispetto dei diritti. Abbiamo appreso che ci sono momenti in cui l'unità nazionale deve prevalere sulle legittime differenze: è stata anzitutto l'unità del popolo italiano a sconfiggere la minaccia terroristica.
Si è compreso, di fronte a quell'emergenza, che vi sono momenti che richiamano a valori costituzionali. A impegni comuni; perché non divisivi delle posizioni politiche ma riferiti a interessi fondamentali del Paese, in questo senso neutrali.
Diversi affluenti hanno riempito l'invaso di odio e di violenza. Oggi possiamo dire - e non soltanto per l'insopportabile sequela di vite spezzate - che si è trattato di progetti eversivi, finalizzati a destabilizzare le istituzioni e a disarticolare la nostra convivenza. La violenza, l'omicidio, l'assalto alla democrazia e alla legalità sono il contrario di ciò che persegue fini liberatori: sono sempre moltiplicatori di intolleranza, di sopraffazione, di crudeltà.
Velleità rivoluzionarie della sinistra estrema, manifestate dal brigatismo rosso, trame reazionarie e rigurgiti neo-fascisti, criminali strategie della tensione, hanno avvelenato anni della vita della Repubblica. Ma possiamo convenire su un giudizio storico: la nostra democrazia, aggredita e ferita, è riuscita a prevalere per la forza del suo radicamento nella coscienza del popolo italiano.
Cercare la verità è sempre un obiettivo primario della democrazia. La verità è inseparabile dalla libertà. Tante verità sono state ricostruite e conquistate, grazie anche all'impegno e al sacrificio di servitori dello Stato, mentre altre non sono ancora del tutto chiarite, o sono rimaste oscure. Non rinunceremo a cercarle con gli strumenti della legge, e con un impegno che deve essere corale. Questa ricerca deve accompagnarsi alla riflessione e al confronto sulle radici sociali, ideologiche del terrorismo. All'opposto dei regimi autoritari, la democrazia ha sempre bisogno di sapere, di coinvolgere, di scavare nella realtà, di portare alla luce e non di occultare. Di avere la verità. Tanta strada si è fatta. Nelle attività di indagini, nei processi giudiziari, nel lavoro giornalistico e pubblicistico, nell'approfondimento storico e culturale. In questa giornata, è giusto sottolineare che il percorso va proseguito insieme.
I familiari delle vittime hanno dato un grande contributo per avviare la nostra società a una ricostruzione che svelasse le responsabilità, le possibili connessioni con interessi esterni al nostro Paese, le complicità, i disegni e gli obiettivi criminali. La sofferenza dei familiari è stata tradotta, nelle Associazioni a cui hanno dato vita, nell'impegno civile che ha aiutato la crescita di una consapevolezza collettiva.
Quando la verità è riuscita a emergere, e si è accompagnata, da parte di alcuni terroristi, al riconoscimento delle proprie colpe e alla presa d'atto della mancanza di qualunque giustificazione della loro folle strategia, talvolta si sono anche aperti canali di dialogo personali, e spazi nei quali le coscienze si sono interrogate sul senso della riconciliazione. Sono spazi che la dimensione pubblica non può varcare: si può soltanto rispettare una così grande umanità, che ha fatto seguito a una così crudele disumanità.
Non pochi di coloro che hanno seminato morte e violenza hanno finito di scontare la loro pena, e dunque hanno avuto la possibilità di reinserirsi nella società. Le responsabilità morali e storiche tuttavia non si cancellano insieme a quelle penali, e ciò impone un senso di misura, di ritegno, che mai come a questo riguardo appare indispensabile.
Ci sono stati casi, purtroppo, in cui questa misura è stata superata, con dichiarazioni irrispettose e, talvolta, arroganti, che feriscono e che, insidiosamente, tentano di ribaltare il senso degli eventi, di fornire alibi di fronte alla storia. Questo non può essere consentito.
Bene ha fatto il presidente Giorgio Napolitano - a cui rivolgo un affettuoso saluto - a raccogliere e pubblicare, dieci anni fa, in un volume edito dall'Istituto Poligrafico, tutti i nomi e i volti delle vittime degli anni di piombo, affiancando quanti sono stati colpiti dalle varie sigle del terrorismo rosso a coloro sono rimasti vittime dei terroristi neri e delle stragi che hanno sconvolto il nostro Paese.
Quel documento non è il libro bianco di una democrazia fragile, ma un atto di coraggio dello Stato repubblicano che sa di aver sconfitto le trame eversive e i progetti di destabilizzazione, e che riconosce nei caduti una ragione di unità, un fondamento delle proprie basi morali.
Non dimenticheremo neppure un nome, neppure un volto, neppure una storia.
Quel libro fu pubblicato a cura della Presidenza della Repubblica dopo che il Parlamento decise di istituire questo Giorno della memoria, al fine di ricordare - così è scritto nella legge - "tutte le vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice".
Il giorno scelto dal legislatore è quello dell'omicidio di Aldo Moro. Si tratta di una scelta carica di significato. Il rapimento di Moro, lo spietato sterminio degli uomini che lo scortavano, il sequestro, a cui è stato sottoposto per cinquantaquattro giorni, rappresentano indubbiamente il punto più emblematico di quell'attacco che mirava a travolgere l'ordine costituzionale dello Stato.
Si vivevano, allora, tempi insanguinati nelle scuole, nelle strade, nelle fabbriche: la violenza politica si era fatta incombente e, nella nuova generazione, sembrava si dovesse convivere con una degenerazione del conflitto politico. Non tutti, anche nelle élite del Paese, compresero il pericolo e qualcuno evocò inverosimili neutralità tra lo Stato democratico e i terroristi. Proprio nei ceti più popolari e tra i lavoratori, invece, le istituzioni democratiche vennero avvertite come espressione di tutti, del bene comune, e come misura del progresso possibile.
Aldo Moro aveva una straordinaria sensibilità per ciò che si muoveva all'interno della società. Per le nuove domande, per le speranze dei giovani, per i bisogni inediti che la modernità metteva in luce. Non gli sfuggiva la pericolosità di tanto "imbarbarimento" (è una sua espressione) della vita politica e civile. Ma al tempo stesso continuava a scrutare i "tempi nuovi che avanzano". Le stesse lettere dal carcere brigatista restano una prova della sua umanità, della sua intelligenza, della sua straordinaria tenacia di costruttore.
Oggi, a quarant'anni da quella tragedia, e da tempo, sentiamo il bisogno di liberare il pensiero e l'esperienza politica di Aldo Moro da quella prigione in cui gli aguzzini hanno spento la sua vita e pretendevano di rinchiuderne il ricordo.
Il Giorno della Memoria deve servire anche a questo: a restituirci l'opera, l'insegnamento, le speranze di chi è stato sradicato con la violenza e a mettere tutto questo a disposizione dei più giovani e di chi non rinuncia a costruire. Parlo di Aldo Moro, ma anche dei tanti martiri della democrazia che, come lui, possono tuttora dare molto al futuro della nostra comunità, di cui sono punti di riferimento. Per questo desidero ringraziare tutti gli storici, i ricercatori, gli intellettuali che, in questi decenni, hanno lavorato a liberare la Memoria e a restituirci la storia che ci appartiene, e che non può certo essere limitata al tragico rosario delle efferatezze dei terroristi.
Il corpo di Moro veniva ritrovato, nella Renault rossa, in via Caetani, il 9 maggio di quarant'anni fa. Lo stesso giorno la mafia uccideva Peppino Impastato. C'è un legame che unisce ogni violenza criminale contro la convivenza civile.
Anche nella giornata in cui la Repubblica invita a ripensare la specificità del pericolo terroristico, vogliamo tenere ben presente il nesso di libertà e di giustizia che sostiene l'impegno in ogni ambito per la legalità e il rispetto dei principi costituzionali. Le organizzazioni criminali, qualunque sia la loro origine, esprimono comunque un carattere di eversione che minaccia la nostra vita e restringe le opportunità di tutti. Fare memoria ci deve aiutare a contrastare ogni cedimento, ogni opportunismo, ogni connivenza, ogni zona grigia.
Il terrorismo e la violenza politica che giunsero negli anni '77 e '78 al culmine della loro macabra parabola, ebbero poi un rapido declino. Altre vite, purtroppo, furono colpite e stroncate. Altra violenza venne consumata. E apparve a tutti, via via, sempre più insensata, inspiegabile, crudele. Il terrorismo ha sempre cercato di aprire fratture, e di sconvolgere la normalità della vita per rendere deboli le istituzioni e vulnerabile lo Stato. Ma è stato sconfitto proprio dal tessuto sociale, da quell'elemento connettivo, che la democrazia produce, pur nelle sue imperfezioni.
Oggi la minaccia terroristica riveste nuove forme, e nuove modalità. Non sono meno pericolose di quarant'anni fa, colpendo all'improvviso nella società ormai globale e interdipendente. E' il terrorismo internazionale, che reca anzitutto il segno del fondamentalismo islamista. Non è l'Islam il nemico, ma chi piega la fede religiosa per indurre all'odio e incitare alla guerra tra comunità religiose, tra popoli, tra persone.
Anche in questa stagione, la democrazia può e deve difendersi senza rinunciare ai propri valori, alla propria civiltà, all'idea di persona che fonda i diritti inviolabili. L'opera di prevenzione nel nostro Paese ha mostrato fin qui tutto il valore e la dedizione degli uomini e dei servizi che lavorano alla nostra comune sicurezza. Ma saremo ancora più forti se saremo capaci di far crescere la consapevolezza comune, e di assumerci la responsabilità, che come europei abbiamo, di favorire la pace e di costruire un equilibrio migliore nel pianeta.
Far memoria è parte di questa preziosa opera costruttiva. Far memoria anche di coloro che sono morti innocenti sotto i colpi di questo nuovo terrorismo cieco. Le cronache di questi mesi sono purtroppo piene di eventi spaventosi, di eccidi, di violenze in diverse regioni del mondo. Desidero ricordare, in questa giornata, le vittime italiane in alcune delle tragedie che più hanno sconvolto l'opinione pubblica mondiale.
Nostri concittadini hanno perso la vita nell'attentato del museo del Bardo, a Tunisi, nella strage di Dacca, in quella di Nizza, e ancora nelle Ramblas di Barcellona. Per ricordarli tutti rammento Valeria Solesin, stroncata con tanti altri giovani nel Bataclan, a Parigi, e Fabrizia Di Lorenzo, uccisa, a Berlino, a pochi giorni dal Natale. Le loro speranze devono continuare a vivere nel futuro della nostra comunità: lo dobbiamo a due giovani europee che non intendevano rinunciare alla vita e alle opportunità del tempo nuovo.
Questo è anche lo spirito del Giorno della Memoria, di questo giorno che celebriamo qui, oggi, al Quirinale. Che serve a rafforzare la democrazia, il migliore antidoto che conosciamo contro la violenza, la sopraffazione, e il migliore strumento di tutela della vita e della persona.
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