Domani si terrà una cerimonia in ricordo degli aviatori dell'Aeronautica Militare caduti presso Laconi (OR). Sul luogo dell'incidente sarà deposta una corona del 98° Gruppo Volo della 46^ Brigata Aerea, di cui faceva parte l'equipaggio. Alla cerimonia saranno presenti le autorità civili religiose del luogo, una delegazione dell'Aeronautica Militare ed i familiari dei caduti.
Il 29 agosto 1985, in località Laconi (OR) durante una missione antincendio il velivolo G222 (Lupo 92) dell'Aeronautica Militare precipitava tragicamente al suolo. Nell'impatto perdevano la vita i quattro membri dell'equipaggio: il Magg. Fabrizio Tarasconi, il Ten. Paolo Capodacqua, il M.llo sc. Lido Luzzi, il M.llo Rosario Ferrante.
PROGRAMMA DELLA CERIMONIA
Ore 16,30 - Ricevimento degli Ospiti e raduno in Piazza Marconi
Ore 17,00 - Celebrazione della S. Messa e deposizione di una corona di alloro, in onore degli aviatori caduti, presso il monumento loro dedicato in Località “Is Forros”
Ore 18,30 - Commemorazione in Piazza Marconi e poi deposizione di una corona di alloro in Piazza 29 Agosto 1985
Tratto da Repubblica Sport
A ruota libera di Eugenio Capodacqua
http://capodacqua.blogautore.repubblica.it/2013/08/30/la-cultura-del-doping-e-quella-del-fuoco/
30 agosto 2013Sono passati 28 anni da quel tragico 29 agosto. Eppure quando vedo la prua del C 27 stagliarsi contro il cielo terso di Pisa accanto all’hangar di partenza, mi prende sempre come un tuffo al cuore. Siamo qui, affidati alle amorevoli cure della 46° Aerobrigata e del 98° gruppo per un gesto che è diventato parte integrante del nostro essere: ricordare i nostri cari caduti nell’assolvimento della loro missione. Ricordare aiuta a vivere. E a migliorare la vita. E di questo almeno va dato atto all’Aeronautica Militare: non dimentica i suoi figli. I due giovani piloti Claudio Stefanini e Cristian Molteni sorridono davanti al cockpit, indaffarati nelle manovre di decollo. Gli specialisti Vano e Carlucci controllano che tutto sia in ordine. Poi, il C.27, rulla fragoroso verso la Sardegna. All’interno, un’atmosfera commossa. Quel giorno, il 29 agosto del 1985, partì più o meno così il G.222 del maggiore Tarasconi affiancato dal tenente Paolo Capodacqua e dagli specialisti Luzzi e Ferrante. Puntava su Laconi, dove era scoppiato un grosso incendio. All’epoca era l’Aeronautica Militare a occuparsi delle operazioni aeree di spegnimento, oggi affidate alla Protezione Civile. Il velivolo si infilò coraggiosamente nella conca di Is Forros, periferia di Laconi, Sardegna più interna, per frenare le fiamme che stavano bruciando la riserva boschiva mettendo a rischio le prime abitazioni del paese, affollatissimo per la festa del santo patrono, sant’Ignazio. Un passaggio radente per sganciare nel modo più efficiente il liquido che frena le fiamme. Con l’accuratezza e lo scrupolo garantite dall’esperienza e dalle tante ore di volo. Ma qualcosa quel giorno maledetto non va per il verso giusto. E per una serie di circostanze maligne la prua di quell’aereo non riemerge più dall’inferno di fumo e fiamme pochi metri sotto la carlinga. Un urto contro un ovile, uno schianto, un’esplosione. Per i quattro occupanti non c’è scampo. Quattro vite sacrificate. Per salvarne tante altre. Accorato l’appello nei giorni successivi alla tragedia di autorità e addetti ai lavori: “E’ stato un incendio doloso, chi ha visto e sa, parli”, tuonò, fra i tanti, l’allora ministro Zamberletti. Ora, a 28 anni di distanza, lungo la strada tutta curve che da Nurallao sale a serpentina verso Laconi per la tradizionale cerimonia di commemorazione presso il monumento dedicato a quegli eroi, è come trovarsi all’improvviso in un deserto marziano. Attorno, solo cenere, alberi, arbusti, campagna bruciata e carbonizzata. Il fuoco doloso e assassino ha colpito ancora. Ai primi di agosto, racconta il sindaco di Laconi, Paolo Pisu. Due giorni di tregenda a cavallo fra il 7 e l’8, in cui l’incendio, risalendo da Isili e Nurallao con fiamme alte anche 30 metri, spintesi fino alle borgate periferiche del paese, ha costretto il primo cittadino a precipitose ordinanze di evacuazione delle abitazioni e delle strutture pubbliche. 2.400 ettari bruciati di cui 1600 nel territorio di Laconi; 5 elicotteri antincendio in azione, 3 “canadair”, 600 uomini a terra arruolati sul campo dallo stesso sindaco. Ma tutto sarebbe risultato comunque vano se d’improvviso il vento di scirocco non avesse girato, proprio ai piedi della statua di sant’Ignazio da Laconi. Miracolo si sarebbe detto una volta. O forse semplicemente destino. Fortuna. Buona sorte. Danni materiali ingenti (che il presidente della Regione Cappellacci avrebbe promesso di coprire), e per fortuna nessuna vittima. Ma è stato solo un caso. In Italia il 70% degli incendi sono dolosi secondo le statistiche più recenti. Negli ultimi tre anni il numero e il tragico effetto è aumentato del 150%. Solo nel primo semestre del 2012 si è registrato un incremento del 76% rispetto all’anno precedente e il 94% di quel totale riguarda i boschi. Un problema nel problema. Perchè il bosco lasciato a se stesso con il clima sempre più secco degli ultimi anni è come una miccia che può accendersi con una semplice scintilla. Così fra le tante parole di circostanza durante la commemorazione a Laconi è emersa la necessità di “Usare il bosco anche come risorsa, non solo come sfondo per le cartoline turistiche”. E qui il dialogo fra naturalisti irriducibili e potenziali “utilizzatori” si fa complesso, adombrando un altro pericolo, quello delle speculazioni. Era doloso anche l’incendio del 7-8 agosto scorso? “Cero che lo era”, dice il sindaco Pisu, allargando le braccia. Ma la caccia ai responsabili, pure perseguibili da una legge che dal 2000 prevede il reato di incendio boschivo, risulta quasi sempre fallimentare. E’ stato così per quell’incendio del 1985 che è costato ben 4 vite. Facile che sia così anche per quest’ultimo. Combattere una radicata “cultura del fuoco” senza che mai un responsabile sia identificato e paghi? Difficile, molto difficile che, a queste condizioni di impunità, si formi una coscienza civica in un paese – qui come in tante altre parti del mondo – in cui vendette e rivalse sono pane quotidiano, senza che si trovi mai uno straccio di responsabile. Un paese in cui il fuoco diventa spesso strumento di offesa privato. Facile e forse anche un tantino ipocrita esaltare l’opera e i sacrifici di chi ha lottato e lotta contro questa piaga senza isolare le cosiddette “mele marce”. E’ tutto come un “deja vu” per chi si è occupato e si occupa delle tante (troppe) vicende scabrose dello sport. E questa volta lo sport può davvero servire da esempio. I più grossi e seri risultati nella lotta al cancro attualissimo del doping nella percezione dell’opinione comune si sono avuti di recente con la confessione di Lance Armstrong, il texano vincitore di ben sette Tour de France. Dopato e reo confesso. L’ultimo mito è caduto soprattutto grazie anche all’intelligenza di abili investigatori italiani (Nas e Finanza) e alla testimonianza di tanti suoi ex compagni davanti all’Usada, l’agenzia americana antidoping. Dunque, perché una certa cultura cambi è importante che chi ha visto, sentito, saputo, parli. Ma, per ora, nella brezza carezzevole della sera che scende su Laconi l’urlo disperato che viene dal cuore resta ancora inascoltato.
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