Mafia e vittime di mafia, l’eterna altalena dove a cadere sono appartenenti dello Stato o cittadini onesti, scalzati da mani incapaci di umanità e pentimento, ieri sera (6 aprile) ha trovato spazio a “Porta a Porta” Rai 1, dove Bruno Vespa ha trasmesso l’intervista a Salvo Riina (che ha da poco pubblicato un libro su suo padre), condannato per mafia e figlio del boss siciliano che ha drammaticamente il sangue di centinaia di persone sulla coscienza. A Monza, in Brianza, un’associazione (Vittime del Dovere) nata per volere di una monzese d’adozione (Emanuela Piantadosi), si batte da anni perchè gli introiti di memorie criminali (libri, fiction e interviste) sia devoluto ad un fondo per le Vittime, sta preparando una petizione ed un’interrogazione parlamentare sull’argomento. E da Roma, brianzolo di nascita, alza la voce anche l’onorevole Roberto Rampi, deputato Pd “Sono convinto che questa intervista non avrebbe mai dovuto essere trasmessa, a maggior ragione sulla tv di Stato – dichiara – L’informazione deve avere un senso, e le parole di Salvo Riina sono state vuote di senso“. Tra le varie affermazioni di Salvo Riina, alla domanda di Vespa sulla condanna a suo padre, è la conclusione a lasciare senza parole “Quello lo hanno fatto i giudici, io non lo condivido ma lo rispetto“. Prosegue Rampi “Questa spettacolarizzazione informativa ha dato a Riina una ribalta allucinante alla pubblicazione di un libro che non ha anch’esso alcun valore informativo. Dai pochi estratti che si possono leggere già adesso, è un volume francamente scandaloso”.
L’intervista mandata in onda da Vespa ha suscitato varie reazioni, tra cui innumerevoli paragoni con il passato “C’è chi ha ricordato l’intervista di Biagi a Buscetta – continua Rampi – ma era nettamente differente. Buscetta ha permesso a Falcone di capire cosa fosse la mafia, di poter dire che esistesse. Quella fu informazione, perchè diede voce ad un pentito che, seppur con grandi colpe sulle spalle, al di là del pentimento moreale aiutò la giustizia e tutti i cittadini a capire dei meccanismi. C’è differenza tra spettacolo e giornalismo. Quello di ieri sera era spettacolo. Il nostro Capogruppo ha chiesto un incontro con il direttore di rete, per chiedergli conto di quanto trasmesso ieri”.
C’è chi sostiene che aver dato voce a Riina, abbia contribuito a mostrare agli italiani che tipo di persone siano i mafiosi, ma forse (come accade per innumerevoli altre situazioni con criminali e vittime), si dimentica che dovrebbe essere prioritario il rispetto del dolore delle vittime “L’etica e l’umanità che la stampa dovrebbe sempre avere“, conclude Rampi. E tra le vittime, esprime rabbia e dolore anche Nadia Sposini, cognata di Mario D’Aleo, il capitano dei carabinieri ucciso proprio per volere di Riina, nel 1983 “Sono sconcertata, e allibita di aver ascoltato quelle parole – dichiara – dopo pochi minuti, non sono riuscita a proseguire e ho dovuto cambiare canale. Non si può immaginare cosa passa una famiglia come la nostra e come le tante vittime di crimini. Ci vuole rispetto”.
Dedicato alle vittime di mafia e di tutti i crimini:
“Io sono morto in Sicilia, in Liguria, in Toscana, in Lombardia. Io sono morto per mano di un mafioso, di un terrorista, di un killer o di un banale rapinatore di banche, ma ieri sera sono stato ucciso di nuovo. Dal potere dell’audience. La mia vita e quella di Giovanni e Paolo, di Filippo, di Francesca, di Boris, di Emanuela, di Carlo Alberto, Aldo e tanti altri, non hanno avuto sconti di pena, porte aperte per la riabilitazione dopo aver ricevuto proiettili nella schiena o poltrone comode dove sederci a raccontare “come ci siamo sentiti”. Noi siamo morti. E prima di morire qualcuno di noi ha dovuto trasferirsi in carcere per scrivere sentenze, quel carcere dove al giorno d’oggi non resta più nessuno. Oppure ha dovuto vivere sotto copertura, per evitare di essere ucciso prima di testimoniare ad un processo di cui ha seguito le indagini, o ancora non ha avuto la gioia di veder venire alla luce il proprio figlio. E proprio perché siamo morti per mano di boss malavitosi, terroristi e delinquenti di ogni risma, per aver scelto di affrontare la paura e compiere il nostro dovere, siamo stati uccisi con dei proiettili vigliacchi sparati alla schiena. Non possiamo più tollerare che delinquenti o loro familiari, specialmente quando non pentiti o consci delle nefandezze commesse dai loro parenti, abbiano prime serate sulle tv di Stato facendo finta di parlare guardando le persone negli occhi, perché hanno una telecamera davanti. La prossima volta, prima di accendere i riflettori su chi rappresenta il peggio della nostra società, è bene che i mezzi di comunicazione accendano il rispetto per chi é stato ammazzato per dare a voi la libertà. Prima di regalare audience a certe trasmissioni, pensaci e cambia canale. Perché chi, legame di sangue o meno, ha il coraggio di chiamare eroe un capo mafia o tentare di giustificare azioni terroristiche o bestialità omicide, non dovrebbe avere diritto di parola, ne orale ne scritta. Ma finire nell’oblio, dove invece troppo spesso finiamo noi, la memoria dei nostri sacrifici e il dolore delle nostre famiglie”.
di Valentina Rigano
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