In queste ore la Corte costituzionale dovrà esprimersi su 3 questioni riguardanti la concessione dei benefici penitenziari per detenuti condannati per reati gravissimi e all’ergastolo ostativo (art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario). Questo a prescindere da quanto sentenziato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che ha censurato a giugno questo genere di ergastolo come trattamento inumano e degrandante, bocciando di recente il ricorso dello stato italiano verso la decisione.
Trattandosi di ergastolani che hanno commesso reati d’immensa gravità (mafia terrorismo etc..), l’unica possibilità che hanno per accedere ai benefici di legge in carcere (misure cautelari sostitutive della detenzione, permessi premio e di buona condotta) è d’interropere definitivamente il legame con l’organizzazione criminilale di riferimento. Proprio per questa ragione l’ex procuratore antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti, ritiene che la disciplina sta bene così com’è, ne è convinto anche Pietro Grasso, già magistrato antimafia e presidente del Senato.
Dal canto loro le famiglie delle Vittime del Dovere auspicano il rispetto della legalità e del concetto assoluto di Giustizia che contempla i diritti dei detenuti unitamente ai diritti di sicurezza dei cittadini, di rispetto della memoria delle vittime e di considerazione del dolore dei familiari delle vittime. Tre aspetti che andrebbero tenuti nella debita considerazione nel processo penale, nella valutazione del reato contro la persona sono elementi importantissimi, ugualmente coesistenti e non solo a livello teorico.
Oggi e domani la Corte Costituzionale si esprimerà in merito a ben 3 questioni riguardanti i requisiti e le limitazioni per la concessione di benefici penitenziari a soggetti condannati per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l’attivita’ di un’associazione mafiosa. Inevitabilmente l’esito della pronuncia si riverbererà su tutti quei detenuti macchiatisi di reati gravissimi, su terroristi, stupratori, pedofili e boss della criminalità organizzata.
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L’Associazione è in attesa di conoscere gli esiti della valutazione del massimo organo giuridico italiano. La pronuncia, qualora venissero accolte le richieste degli astanti, porterebbe a due necessarie conseguenze: da un lato si eliminerebbe l’attuale condizione prevista dall’ordinamento secondo cui la collaborazione con la giustizia risulta il presupposto necessario per ottenere i benefici penitenziari e, dall’altro, metterebbe il giudice di sorveglianza nella condizione di assumersi gravose e rischiose responsabilità individuali di valutazione riguardanti pericolose organizzazioni criminali. Le famiglie delle Vittime del Dovere auspicano, in questo frangente, il rispetto della Legalità, che indiscutibilmente la Corte Costituzionale autorevolmente incarna e amministra, ma invoca anche il concetto assoluto di Giustizia che contempla i diritti dei detenuti unitamente ai diritti di sicurezza dei cittadini, di rispetto della memoria delle vittime e di considerazione del dolore dei familiari delle vittime. Questi ultimi tre aspetti non vengono assolutamente tenuti nella debita considerazione nel processo penale, benché nella valutazione del reato contro la persona siano elementi importantissimi, ugualmente coesistenti e non solo a livello teorico. Proprio in virtù di questa caratteristica del processo penale italiano, che non attribuisce peso specifico alle vittime di reato, sono partite encomiabili iniziative di visita ai detenuti reclusi presso le carceri italiane perdendo di vista, purtroppo, la necessità di tenere in eguale considerazione le vittime degli stessi autori di reato.
Considerando gli esiti sbilanciati del recente percorso storico ed evolutivo del diritto penale, che si palesa quale sistema assolutamente reocentrico, l’Associazione vittime del Dovere propone di aprire un dibattito sull’eventuale introduzione dei concetti di Vittima e di interesse della collettività nel processo penale, come elementi indispensabili per garantire una visione completa e rispettosa di tutti gli aspetti che concorrono a delineare un reato di sangue. L’art. 3 della Costituzione prevede pari dignità per tutti, incluse le vittime di reato i cui interessi, tutele e sensibilità non vengono contemplati nel processo penale. Questo articoLo della Costituzione, alla luce della situazione di estremizzazione e stravolgimento di valori, verità e realtà non deve essere solo evocato per tutelare gli interessi dei carnefici, ma anche quelli delle vittime. Siamo arrivati purtroppo al paradosso di rincorrere le tutele dei carnefici per poter affermare i diritti delle vittime, ciò a ulteriore dimostrazione dell’inversione valoriale, o meglio, involuzione valoriale in atto nella nostra società.
In queste ultime settimane una lunga scia del sangue di servitori dello Stato ha toccato il cuore di tanti Italiani onesti, tanto da domandarci perché non intraprendere un pellegrinaggio, così come avviato recentemente nelle carceri, anche presso le famiglie delle Vittime? In medio stat virtus. I nostri familiari sono stati uccisi perché portatori di valori di legalità e giustizia in cui credevano e per i quali consapevolmente si sono sacrificati, ed è proprio per questo che auspichiamo che la Corte Costituzionale valuti le esigenze di tutti e non solo quelle di alcuni.
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