GENTILE DIRETTORE, ho seguito con attenzione gli ultimi scambi sulle pagine del Fatto riguardanti il regime detentivo previsto dal 41-bis. Nei medesimi spazi viene auspicata la nascita di un dibattito tra "addetti ai lavori". Quale presidente dell'Associazione di voi onta riato Vittime del Dovere - costituita da circa cinquecento famiglie di appartenenti alle Forze dell'ordine, Forze armate e Magistratura, caduti o rimasti invalidi perché colpiti da criminalità comune, organizzata o terrorismo- ho ritenuto importante farle pervenire un nostro contributo. L'osservazione che spesso ci viene mossa è quella di avere una "visione univoca e di parte", tanto che in alcuni articoli noi vittime siam ostate definite in modo spregiativo "erinni vendicatrici". Tuttavia, ciò che peroriamo nelle sedi istituzionali, stante l'assoluta carenza di attenzione da parte dei mass media, è quello di poter aver una voce: in questi ultimi anni, infatti, abbiamo chiesto sia al ministero dell'Interno sia a quello della Giustizia la necessità di istituire un tavolo di lavoro per le vittime, ma finora i nostri appelli sono stati inascoltati. È sconfortante prendere atto che la posizione delle vittime è percepita come ingombrante: in questo clima di assoluto disinteresse, ho pensato di fare un tentativo con voi. La nostra associazione presta particolare attenzione a questa sorta di azione erosiva, compiuta a piccoli passi, che sta interessando il "carcere duro": tutto ciò ci ha condotti più volte a intervenire, anche sul nostro sito. Partendo dalle iniziali obiezioni (nel 2016) all'utilizzo di Skype al 41-bis, definito da noi provocatoriamente "teleworking", siamo passati a intervenire presso le commissioni Giustizia di Camera e Senato, per proseguire con proposte, relazioni, interrogazioni parlamentari e anticipazioni su probabili criticità. Oggi, in piena pandemia, quanto da noi sostenuto4anni fa su Skype appare pura preveggenza: infatti tale mezzo è stato usato nella prima ondata del Covid per placare le rivolte nelle carceri, insieme ai provvedimenti del decreto Cura Italia che hanno consentito un'emorragia penitenziaria senza precedenti, una vera e propria catastrofe penitenziaria. Ciò che più spaventa è che le rivolte oggi tornano con rinnovato vigore, a seguito della seconda ondata di contagi. Questi fermenti sono evidentemente strumentali alle richieste, purtroppo moltiplicatesi negli ultimi giorni, di concessione di amnistia o indulto che andrebbero ignobilmente a vanificare il concetto di certezza della pena.
EMANUELA PIANTADOSI,
PRESIDENTE ASSOCIAZIONE VITTIME DEL DOVERE
Tratto da Il Fatto Quotidiano
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