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23 MAGGIO 2024
ReportDifesa.it - Strage di Capaci: Testimonianza del Capitano GDF Emanuele Schifani, figlio di Vito agente della scorta di Falcone ucciso il 23 maggio 1992

PALERMO. In occasione della giornata di commemorazione della Strage di Capaci l’Associazione Vittime del Dovere ricorda il sacrificio di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, servitori dello Stato uccisi il 23 maggio 1992.

Report Difesa ha ricevuto uno stralcio della toccante testimonianza del Capitano della Guardia di Finanza, Emanuele Schifani, in occasione della “Lezione Aperta” del Prof. Camillo Regalia dal titolo “Vittime del dovere tra memoria e impegno civile per le nuove generazioni”, tenutasi il 30 novembre 2023, presso il Centro di Ateneo “Studi e Ricerche sulla Famiglia” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano organizzata in collaborazione con l’Associazione Vittime del Dovere.

“Potrei portare la mia testimonianza (…) ovviamente potrei essere anche un “testimone vivente” di quel periodo, ma in realtà la vera testimonianza la può portare soltanto mia madre e coloro i quali hanno vissuto quel periodo in prima persona.

Anche perché, io avevo quattro mesi, come qualcuno di voi saprà, ora non so (…) quanti di voi effettivamente siano informati su quello che è successo negli anni 90, non solo nel 1992, (…) perché anche se ho solo (…) 31 anni, mi rendo conto che il ricordo piano piano, nonostante (…) le varie commemorazioni che ogni anno facciamo, il ricordo più passa il tempo, più rischia di perdersi.

E quindi desidero innanzitutto ringraziare mia madre, che mi ha cresciuto nel valore e nel ricordo di mio padre, che non è scontato.

Il Professore prima ha detto infatti che, non sempre le famiglie traslano, o meglio, trasmettono il ricordo, i valori, raccontano anche soltanto la vicenda di quello che è stato. Per motivi più disparati, io potrei anche dire (…) per non rievocare ogni volta il dolore.

Io, pur non avendolo vissuto in prima persona, questo dolore ogni anno lo ripercorro (…) perché nonostante poi mia mamma si sia risposata, abbia costruito nuovamente un ambiente familiare sano, comunque questo dolore si riaccende ogni anno, per forza di cose.

È una ferita che (…) guarisce, ma poi si riapre.

Ed è forse, tra virgolette, anche giusto così, perché non ci dobbiamo dimenticare del dolore che è stato provocato, che è stato provocato (…) alla mia famiglia, a tutti coloro i quali sono stati uccisi in quel periodo, non deve essere dimenticato.

Dobbiamo imparare dagli eroi del passato per costruire un futuro migliore.

E quindi (…) ringrazio mia mamma, che è quella giovane donna, forte donna, che a 22 anni si è vista crollare addosso il cielo, ma che, nonostante l’inesperienza, nonostante l’essere così giovane, il giorno del funerale di mio padre, non so se l’avete mai viste (…) le immagini del funerale sono iconiche, ha avuto il coraggio di urlare, di sfidare gli assassini.

Gli ha detto (…) “voi volete il perdono, io vi posso anche perdonare, però vi dovete mettere in ginocchio”.

E in una Palermo che in quel periodo era aggredita da quella che era la mafia, la mentalità mafiosa (…) ecco dire una cosa del genere, sfidare così apertamente quello che era il potere di quel tempo, era inconcepibile.

Per questo è rimasta nella memoria collettiva, come (…) un simbolo di quel tempo, come è diventato un simbolo anche il giudice Falcone, Paolo Borsellino, i colleghi di mio padre, i colleghi della Polizia, che scortavano e avevano deciso consapevolmente di rischiare la loro vita per scortare dei simboli, non solamente delle persone, dei simboli di lotta sia alla mafia, ma simboli del cambiamento, simboli di una ribellione sociale, chiamiamola così, sul territorio siciliano.

Era una cosa veramente inconcepibile per quegli anni.

Mia madre non ha solo la memoria di quel tempo, lei è probabilmente, almeno io la considero così, la memoria di quel tempo.

Io da figlio, da naturale successore e concorrente, a questo punto, in questa staffetta del ricordo, ho accettato l’invito del Professore e (…) di Emanuela, per cercare, oltre al mio lavoro, di fare qualcosa in più, celebrando le persone che sono morte per un ideale e per trasmettere quello che era l’ideale.

Sono morte serenamente, hanno accettato consapevolmente quello che era il loro dovere. Sono morte con nel cuore la speranza di una collettività migliore.

E noi ce li dobbiamo meritare.

Mio papà, Vito, è morto il 23 maggio del 1992 in quella che oggi noi conosciamo come la strage di Capaci, egli orologi quel giorno si sono fermati alle 17.58. Ci ricordiamo pure l’orario. Ed è morto scortando, come vi ho detto, un simbolo. Il giudice Giovanni Falcone. Con lui sono morti Antonio, Rocco, la moglie del giudice.

E neanche 57 giorni dopo è morto un altro simbolo (…) di quella lotta, di quella ribellione che era Paolo Borsellino, insieme ai colleghi della polizia, Emanuela, Agostino, Claudio, Walter, Vincenzo.

Tutti simboli, che però perdono di significato se noi non facciamo quello che stiamo facendo oggi: ricordarli.

Loro rappresentano quello che si è disposti a fare, a donare, quando crediamo in un ideale e andiamo avanti fino alla fine, letteralmente.

E quindi, io ripeto, dobbiamo essere in grado di meritarceli, di meritarci il loro sacrificio, di meritarci il sacrificio di giovani uomini e donne: nel caso di mio papà, un giovane uomo di 27 anni, io adesso (…) potrei essere (…) il fratello maggiore, perché ho superato la sua età. 

Lui si è arruolato in Polizia con il desiderio di cambiare, non dico tanto il mondo, ma almeno la mentalità e la società in cui viveva.

Perché lui era di Palermo, quindi era proprio all’interno, viveva quello che era il sistema.

Da ragazzino puoi soltanto stare lì a guardare e non puoi fare granché ma quando decidi di fare la tua parte, cerchi di farla con ogni mezzo possibile e lui ha scelto di arruolarsi in Polizia.

Ma non gli bastava. Perché per essere più incidente, (ndr. per rendere) più concreto il suo contributo, allora si è fatto avanti per difendere il rappresentante più eloquente, di quel periodo, della lotta a quella mentalità, a quelle organizzazioni che affliggevano la Sicilia, ovvero il giudice Falcone.

E lo ha fatto in un periodo in cui scegliere di far parte delle Istituzioni, di mettersi in prima linea era considerata una scelta terribile. Perché i morti che hanno contato le Istituzioni in quel periodo sono tantissimi e venivano attaccate poi apertamente dai criminali (che) volevano sovvertire l’ordine costituito, non avevano paura, non avevano timore di aggredire lo Stato apertamente.

Lo Stato ha reagito poi, per fortuna e non ci siamo fatti abbattere dal dolore.

Cosa ricordo di mio papà? Ricordo che lui, con i suoi colleghi, ripetevano sempre di non avere paura.

“Come fai a fare questo servizio? Non hai paura di morire?”

“No, accetto consapevolmente il rischio di morire ma lo faccio perché spero in qualcosa di diverso, in qualcosa di migliore, un domani. Se ho paura tanto vale non farlo quel servizio.”

Una frase che ripetevano spesso e che mi è stata ovviamente raccontata è (…)” tutti nascono per morire, nessuno vive in eterno.”

E’ scontato, giustamente, però non ce lo ricordiamo mai nella vita di tutti i giorni.

Ecco loro, io penso che se lo ricordassero ogni giorno e comunque continuavano a servire, a contribuire, consapevolmente, con serena dedizione.

In questo passaggio di testimone, che mi è stato fatto da mia mamma, passaggio di testimone che io ho accettato – perché avrei anche potuto decidere di non (ndr. accettarlo) e qualche volta magari ci ho anche pensato, da giovane ragazzo, di non seguire le orme di mio padre – sono 12 anni invece che porto questo uniforme ed è una cosa che mi rende orgoglioso ogni giorno, nelle mille difficoltà del nostro lavoro.

Lo sappiamo bene, però non ci fermiamo, andiamo avanti.

(…) Perché ho deciso poi di intraprendere una carriera simile ma diversa?

 Perché maturando, crescendo, mi sono reso conto che la mission che abbiamo come Forze dell’Ordine è la stessa, però quel metodo mafioso, quella mentalità mafiosa, non può essere combattuta esclusivamente con una repressione (…) quella che facciamo tutti i giorni come Forze dell’Ordine.

Bisogna prevenire, bisogna ricercare e denunciare, in questo caso come appartenenti alla Guardia di Finanza, quelle che sono le violazioni economico-finanziarie, perché il mafioso di un tempo si è evoluto.

Non è più lo stesso, quello che è stereotipato con la coppola, il giacchettino, la lupara, che quasi viene da ridere a guardarlo adesso, come era 30 anni fa.

Adesso è in giacca e cravatta, giacca, camicia e cravatta, ha imparato a destreggiarsi tra le normative finanziarie, per ripulire quelli che sono i proventi delle sue attività illecite, anche di scala internazionale, per poi riciclarli nell’economia legale.

Qual è il danno che fa? Il danno che fa, lo fa ai cittadini comuni, e alle imprese oneste, perché le disponibilità economiche, che hanno accumulato nel tempo, le organizzazioni criminali, sono ingenti, sono enormi e per gli onesti è impossibile competere con loro.

Ecco allora che entriamo in gioco noi, ecco perché ho fatto questa scelta, tempo fa: perché (…) principalmente tagliando la linfa vitale, che sono i soldi, noi possiamo veramente combattere quella che è questa criminalità e mentalità mafiosa.

Perché dico mentalità? Perché si può essere, ahimè, mafiosi anche non appartenendo a una cosca e questo accade quando, anche se siamo due soggetti diversi, comunque abbiamo una convergenza di interessi e quindi ci sta bene anche affiancarci a determinate chiamiamole “amicizie”.

Questa mentalità non permette poi al cittadino comune però di rendersi conto qual è il vero danno sociale causato dal reato fiscale.

Quindi noi non possiamo sperare che sia(no) la Guardia di Finanza, i Carabinieri, la Polizia, la Magistratura, soltanto con una repressione, con una ricerca degli illeciti, (a) sconfiggere quello che è il compromesso morale, l’indifferenza, la complicità, (ndr. usando le) parole che utilizzavano questi eroi del 1992.

Dobbiamo sviluppare una coscienza: una coscienza collettiva che sia consapevole dell’esistenza e della pericolosità del modello e della mentalità mafiosa che deve essere alienato e condannato da tutti.

E per sviluppare questa coscienza… cosa dobbiamo fare?

Ci dobbiamo riunire, così come abbiamo fatto oggi, grazie a Emanuela e grazie al Professore per ricordare quello che è successo nel nostro passato e non dimenticarcelo, cercando di costruire sulla memoria dei caduti delle Vittime del Dovere un futuro che sia migliore.

Lo possiamo fare tutti, nel nostro piccolo di ogni giorno, facendo delle scelte giuste e citando Paolo Borsellino “forse un giorno possiamo iniziare a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà dai compromessi, dalle indifferenze e dalle complicità”.

Tratto da ReportDifesa.it

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