L'Associazione Vittime del Dovere svolge da anni una copiosa attività di approfondimento e sensibilizzazione finalizzata alla conoscenza e allo studio dei fenomeni criminali e al contrasto della criminalità organizzata.
Un impegno quotidiano che si esplica, in contesti istituzionali, parlamentari, pubblici e didattici, attraverso:
"Rispetto per la giustizia, rispetto per i provvedimenti, ma sono passati davvero tanti anni ed era qualcosa che sarebbe dovuta avvenire molto tempo prima. I parenti delle vittime attendevano da lungo tempo questo provvedimento, ma non può essere considerato un nostro risarcimento". Lo dice Sabina Rossa, figlia di Guido Rossa, l'operaio dell'allora Italsider di Genova ucciso dalle BR
"Il nostro pensiero si rivolge soprattutto alle famiglie dei tanti, troppi caduti, delle stragi di matrice terroristica. Un risultato importante che purtroppo non potrà porre fine all'immenso dolore per i drammatici lutti e che alimenta speranza al sempre maggiore bisogno di giustizia agognato nel corso degli ultimi decenni. Ora ci si aspetta che ciò rappresenti un ulteriore tassello per ricostruire finalmente la verità storica di anni particolarmente bui".
A parlare è l'Associazione Vittime del Dovere che apprende "con grande soddisfazione la notizia della cattura di sette ex terroristi degli Anni di Piombo rifugiatisi in Francia".
"Rispetto per la giustizia, rispetto per i provvedimenti, ma sono passati davvero tanti anni ed era qualcosa che sarebbe dovuta avvenire molto tempo prima. I parenti delle vittime attendevano da lungo tempo questo provvedimento, ma non può essere considerato un nostro risarcimento. La giustizia e i procedimenti giudiziari devono fare il loro corso, certo, ma mi asterrei dal fare commenti di soddisfazione di fronte a questa vicenda". Lo dice Sabina Rossa, figlia di Guido Rossa, l'operaio dell'allora Italsider di Genova ucciso dalle BR il 24 gennaio 1979, commentando l'arresto in Francia di sette ex terroristi ai fini dell'estradizione in Italia.
"Credo che per le vittime, e questo lo ricordo a me stessa prima di tutto, non possa essere considerato un risarcimento e non porta nemmeno a dire 'vendetta è fatta!' o 'giustizia è fatta!'". Secondo Sabina Rossa, l'Italia non ha mai superato gli anni del terrorismo: "Abbiamo vissuto un periodo storico per il quale il nostro Paese non si è mai potuto dire pacificato - dice -. Non abbiamo mai avuto verità. Siamo diversi dagli altri Paesi europei che hanno vissuto il terrorismo: credo che il nostro abbia provocato più morti e che abbia lasciato aperte tante ferite che non si sono mai rimarginate".
Ciò che l'arresto dei sette terroristi riaccende oggi è "la speranza che la verità venga a galla per l'omicidio di mio padre", anche se "credo che ci siano precise volontà di non far conoscere quello che realmente accadde, chi e perché decise di far uccidere mio padre". Così Graziella Ammaturo, figlia del capo della squadra mobile di Napoli, Antonio Ammaturo, ucciso dalle Brigate rosse il 15 luglio del 1982, insieme con l'agente Pasquale Paola, sotto casa sua, in piazza Nicola Amore.
"Ma fino a quando non conosceremo i fatti - aggiunge - non possiamo parlare di 'Paese civile', non fino a quando non riusciamo a guardare in faccia la verità". Un discorso che, come precisa Ammaturo, "non vale solo per noi in quanto familiari, ma per l'Italia intera. Possibile che ancora oggi, a distanza di 40 anni, non si conoscano bene le connivenze tra camorra e terrorismo?".
"Per mio padre, che direttamente non si è mai interessato di terrorismo a Napoli, sarebbe stato semplice voltarsi dall'altra parte - racconta - ma ha deciso di continuare. Quando parlava del suo lavoro, delle indagini che stava conducendo, usava la parola 'eclissi'. Dopo il suo omicidio, ad essersi eclissate sono le carte delle sue indagini. Aveva l'abitudine di prendere appunti, eppure dopo la sua morte, tutto ciò che
abbiamo avuto è stata una agenda vuota, bianca".
"Vorrei dire che gioisco, ma per il momento ammetto che sono soddisfatto. Era indispensabile assicurare questi terroristi alla giustizia". Così Adriano Sabbadin, figlio di Lino, il macellaio ucciso il 16 febbraio 1979 a Santa Maria di Sala (Venezia) dai membri del gruppo Proletari Armati per il Comunismo. "Questi - aggiunge - non sono da considerarsi 'ex' terroristi ma lo sono tuttora, tali almeno vanno considerati. E - prosegue Sabbadin - devono finalmente assumersi le loro responsabilità".
Sabbadin conferma che fin dalla tragica morte di suo padre si è speso per l'arresto dei responsabili e del fiancheggiatori. "Era ed è un nostro diritto vederli pagare, secondo quanto la giustizia ha stabilito. Le nostre tragedie, infatti, continuano, sono ferite sanguinanti come se fossero accadute ieri".
"Finalmente giustizia è fatta. Questa è la prima cosa che ci sentiamo di dire". E' quanto riferisce Monica Gurrieri, figlia dell'appuntato dei Cc Giuseppe Gurrieri, ucciso nel 1979 da Narciso Manenti, uno dei brigatisti arrestati oggi in Francia e che per l'omicidio del militare deve scontare l'ergastolo. La moglie e i due figli di Gurrieri abitano a Brescia. "Io avevo nove anni e mio fratello 14 e lui aveva visto dal vivo l'omicidio di mio padre" ha raccontato la figlia dell'appuntato. "Ho avuto la notizia dell'arresto da parte di un ex collega di mio padre che mi ha chiamata in lacrime dicendomi 'ce l'abbiamo fatta'".
"Per fortuna, così come successo per Battisti, queste persone non la faranno franca. Ora attiviamo subito la macchina della giustizia e siano applicate le pene affinché possano pagare per quello che hanno fatto". A commentare così la vicenda degli arresti in Francia è Maurizio Campagna, presidente dell'Associazione per le vittime del terrorismo e fratello di Andrea Campagna, l'agente di pubblica sicurezza calabrese ucciso dai terroristi il 19 aprile 1979 a Milano.
"Dopo 43 anni l'arresto di Tornaghi, coivolto nell'omicidio di mio padre, dimostra che la vicenda è tutt'altro che chiusa. Vorrei dirgli che ci sono ancora particolari e complici che loro non hanno rivelato: facciano un'operazione di verità e ammettano gli orrori che hanno commesso. Ricordo che va fatta ancora luce anche sul caso Moro". A commentare all'ANSA gli arresti per terrorismo in Francia è Alberto Di Cataldo, figlio di Francesco Di Cataldo, il maresciallo ucciso a Milano dalle Br il 20 aprile 1978, nel periodo in cui Aldo Moro era tenuto in stato di sequestro.
''Lo Stato oggi deve essere contentissimo. Se da un punto di vista umano, infatti, dispiace sempre che una persona venga arrestata, dall'altro va dato atto all'Italia che, almeno su questa vicenda, ha mantenuto una linea di piena fermezza che era non solo necessaria ma indispensabile''. Così Franco Cirillo, uno dei tre figli di Ciro Cirillo, l'ex assessore regionale della Campania sequestrato dalle Brigate Rosse nel 1981 a Torre del Greco (Napoli) e poi rilasciato a Napoli dopo quasi tre mesi.
"Proprio ieri - ricorda Franco Cirillo - è stato il quarantesimo anniversario di quel terribile giorno. Lascio immaginare cosa possano provare, pur a distanza di così tanto tempo, i figli nel rivedere le immagini del loro padre che ancora oggi fanno da sfondo ai servizi dei principali telegiornali nazionali". Tra le persone finite in manette in Francia anche Marina Petrella, oggi 67 anni, accusata tra l'altro di avere avuto un ruolo di primo piano nella storia del rapimento di Ciro Cirillo, rapimento durante il quale furono uccisi l'autista dell'ex assessore regionale Mario Cancello e l'uomo della scorta, il maresciallo Luigi Carbone.
"Oggi è stato ristabilito un principio fondamentale: non devono esistere zone franche per chi ha ucciso. La giustizia è stata finalmente rispettata. Ma non riesco a provare soddisfazione nel vedere una persona vecchia e malata in carcere dopo così tanto tempo #annidipiombo". Così in un tweet Mario Calabresi.
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