Dai casi 'mediatici' come Nassyriya alle storie di ogni giorno. Dalle bombe ai killer invisbili, come l'uranio e l'amianto. Sono tante le associazioni che raccolgono le famiglie dei caduti, guidate da chi ha toccato con mano il dolore di quella perdita.
Soldati di pace, partiti nelle tante missioni e mai tornati a casa. Militari uccisi da killer invisibili, come l'uranio impoverito nelle zone di guerra o l'amianto delle navi della Marina. Poliziotti, carabinieri, vigili del fuoco, finanzieri, militari dell'esercito. Nomi qualunque, magari non rimbalzati sulle pagine della cronaca ma destinati a far parte di una lunga lista nera che raccoglie tutte le vittime del dovere. Casi noti, vicende meno famose, tutte storie che varrebbe la pena raccontare. E se si cerca nelle pieghe delle vicende di sangue di ogni giorno, ecco che i loro volti, spesso offuscati da altri fatti di cronaca ritenuti più importanti, appaiono nitidi, ognuno con esistenze diverse, eppure accomunate da un tragico destino.
Il caso 'mediatico' per eccellenza fu quello della strage di Nassyriya: era il 12 novembre del 2003, il giorno del primo grande attentato in quella zona. Alle 10,40 del mattino, ora locale, un camion cisterna pieno di esplosivo scoppiò davanti la base Multinational Specialized Unit (Msu) italiana dei carabinieri, provocando l'esplosione del deposito munizioni della base e la morte di diverse persone tra militari e civili. Le vittime furono 28 in tutto,19 italiani, tra carabinieri e militari, e 9 iracheni. Ma poteva essere una strage: ad arginare la lunga scia di sangue che poteva scaturirne, il tentativo riuscito del carabiniere Andrea Filippa, di guardia all'ingresso della base Maestrale, di fermare con un fucile i due attentatori suicidi. Grazie a lui, il camion non esplose all'interno della caserma ma sul cancello di entrata.
L'operazione Iraqi Freedom era iniziata nel mese di marzo dello stesso anno. Ma i militari italiani partecipanti alla missione militare in Iraq, 'Operazione Antica Babilonia', seguita alla seconda guerra del Golfo, sono stati oggetto di più attentati e agguati, provocando in totale circa 50 vittime (di cui 25 italiane). Sempre in Iraq, la mattina del 26 aprile 2006, il bersaglio fu un convoglio formato da quattro mezzi dei carabinieri del Msu, partito dalla base di Camp Mittica, per raggiungere l'ufficio provinciale di Polizia irachena per il consueto servizio e il coordinamento dei pattugliamenti congiunti (Provincial joint operation center) come già avevano fatto molte altre volte. Questa volta c'era un ordigno sulla carreggiata: le vittime, il maresciallo aiutante Carlo de Trizio ed il collega Franco Lattanzio. Poche ore dopo, a causa delle ustioni, morì anche il maresciallo aiutante Enrico Frassanito, rientrato a Verona dopo le prime cure ricevute a Kuwait City.
E poi l'attentato di Kabul del 17 settembre 2009: sei militari italiani, tutti appartenenti alla Brigata paracadutisti della Folgore, morirono in Afghanistan in seguito a un attacco kamikaze che aveva colpito un convoglio della Nato lungo la strada che porta all'aeroporto della città. Ma i tre attentati sono una piccola goccia nel mare delle vittime delle missioni, dove si può morire non solo per una bomba, o raggiunti da i proiettili di un'arma da guerra, ma per mezzo di un killer invisibile. È il caso dell'uranio impoverito, che avrebbe ucciso decine e decine di militari esposti al metallo letale, con due sentenze che hanno condannato il ministero della Difesa a risarcire le vittime, riconoscendo un legame tra la patologia e la missione.
Ancora, un altro killer invisibile, l'amianto, che avrebbe ucciso centinaia di militari delle navi della Marina: l'amianto era presente in molte imbarcazioni della Marina Militare, in particolare in quelle consegnate dalla Marina americana (cannoniere, dragamine) dopo la fine della seconda guerra mondiale e l'ingresso dell'Italia nella Nato (ma anche sulle navi costruite successivamente, tanto da doverle sottoporre a bonifica in tempi recenti). Macchinari, tubature, cabine: tutto era rivestito con il minerale tossico. In forma pura o impastato con altro materiale. Quelle fibre, fino al 2005, e cioè fino al disarmo definitivo, sono state una tomba silenziosa per G.B., 50 anni, ex sottufficiale di Lecce morto a Padova, e per G.C., che era comandante e che quando è morto a Padova aveva 61 anni. Alle loro famiglie il ministero della Difesa ha versato 850mila euro.
La lunga scia di morte, causata da bombe, attentati, o anche da assassini silenziosi, non si è mai fermata. Ma accanto alle storie raccontate sulle pagine di cronaca ci sono quelle di chi è stato un 'eroe' del quotidiano. Sono migliaia i militari, tra carabinieri e poliziotti, ma anche vigili del fuoco e finanzieri, e civili, come i magistrati, che sono morti nell'espletamento delle loro funzioni, che in molti casi erano un'autentica missione. E attorno alle famiglie si sono raccolte molte associazioni, guidate da chi ha subito in prima persona il medesimo lutto.
È il caso dell'Associazione Vittime del Dovere, guidata da Emanuela, figlia del maresciallo capo Stefano Piantadosi, ucciso da un feroce pluriomicida mentre era in servizio di ordine pubblico per una gara ciclistica nel milanese. Sul sito dell'associazione, uno dopo l'altro, scorrono i nomi dei tanti 'eroi' quotidiani, di cui si è parlato poco o niente, insigniti di medaglie, ma spesso dimenticati. Accanto alla storia di Emanuela, che sognava di ripercorrere le orme del padre, c'è quella di un'altra donna, Palmira Mazzieri, che perse suo padre in un terribile agguato da parte di una banda che faceva capo a Renato Vallanzasca. Ma anche la storia di Alessandro Luzzi, in aeronautica come suo padre, morto durante una missione antincendio in Sardegna.
Alla guida dell'Associazione Fervicredo (Associazione feriti e vittime della criminalità e del dovere), c'è Mirko Schio, agente di polizia che dal '95, dopo un grave agguato a Marghera, è su una sedia a rotelle. Oggi non rimpiange quello che la sua professione gli ha riservato. Anzi, ha iniziato una battaglia per riconoscere alle famiglie delle vittime del dovere gli stessi benefici di quelle del terrorismo e della criminalità organizzata. Quando l'agente Schio fu colpito da quella disgrazia, per gli orfani, le vedove e i parenti dei morti nell'adempimento del dovere non c'era alcun riconoscimento. Oggi qualche passo è stato fatto, racconta, ma c'è ancora tanta strada da percorrere.
Grazie alle sollecitazioni delle tante associazioni nate a sostegno dei familiari di questi "eroi" quotidiani, agli orfani e alle vedove, sono stati istituiti dei call centers per fornire loro assistenza (riguardo i benefici cui hanno diritto), da quello della Polizia di Stato, dedicato non solo alla categoria ma anche alla polizia penitenziaria, alle varie polizie municipali, al corpo forestale, ai carabinieri e alla finanza (numeri 06.46548373 o 06.46548374 o 06.46548375) a quello creato dall'Arma dei Carabinieri (info allo 06.517052080). Quest'ultimo fornisce informazioni non solo alle famiglie dei carabinieri, ma anche a quelle di esercito, aeronautica e marina militare. C'è infine l'ufficio di assistenza per i Vigili del fuoco (call center 06 46529363 - 06 46529266 - 06 46529709) e quello per la Guardia di Finanza (linea dedicata 0644223071).
Valentina Marsella (09-04-2010)
Articolo tratto da www.nannimagazine.it
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