“Vorremmo conoscere i criteri di valutazione e gli strumenti utilizzati per dichiarare che il pluriergastolano, pluriomicida mai pentito, plurirecidivo sia idoneo ad accedere ‘alla liberazione condizionale’ o in subordine alla ‘semilibertà’. Sono le parole di Emauela Piantadosi, Presidente dell’Associazione Vittime del Dovere, onlus nazionale con sede a Monza e che tutela le famiglie di appartennenti a forze dell’ordine e armate e magistratura, caduti o rimasti gravemente invalidi in servizio, a seguito della possibilità che Renato Vallanzasca, il boss della mala milanese che ha passato in carcere oltre 40 anni e a cui è stata revocata la semilibertà nel 2014, esca dal carcere.
L’ipotesi è stata resa nota nei giorni scorsi, a seguito di rapporto stilato dall’Equipe di osservazione e trattamento del carcere di Bollate, dove è recluso, che descriverebbe Vallanzasca come una persona che avrebbe subito un “cambiamento profondo, intellettuale ed emotivo”, che “non potrebbe progredire con altra detenzione” e che quindi “possa essere ammesso alla liberazione condizionale”.
Secondo il sostituto di Pg però, non è sufficiente un “adeguato livello di ravvedimento” per beneficiare di misure alternative, ma è necessario un ravvedimento certo. “Ci auguriamo che la persona detenuta non venga ritenuta ‘recuperata’ per il solo fatto di non aver commesso gravi fatti criminosi durante la detenzione – prosegue Piantadosi – e perchè abbia tenuto un comportamento ‘tutto sommato’ di basso profilo”. Secondo l’Associazione, sarebbe inaccettabile proseguire con siffatti criteri di giudizio che offrono anche a criminali di assoluto spessore, l’opportunità di accedere ai vantaggi penitenziari dopo aver frequentato un corso di pittura, di teatro, di ceramica o di dog sitter, reputati segnali certi di ravvedimento da parte dell’equipe trattamentale delle carceri.
“Non chiediamo vendetta, ma una piena collaborazione con la giustizia e un ravvedimento certo ed inequivocabile”, continua la presidente dell’Associazione, che aggiunge “affermare che Vallanzasca non potrebbe progredire con altra detenzione, alla luce dei pregressi significanti di Vallanzasca, equivale a ritenere che è legittimo rimettere in libertà un soggetto ad alto rischio di criminalità, soltanto perché si ritenga che l’inclinazione a delinquere del soggetto sia irreversibile”, perchè “lo stato non può adire ai suoi doveri di protezione sociale soprattutto in presenza di soggetti che malgrado il carcere mantengano la loro indole criminosa”. Dovero, in questa circostanza, ascoltare anche la testimonianza di un familiare di una Vittima del Dovere, uccisa proprio dalla banda del malfattore, a fine anni 70.
“Quanto è costato questo personaggio alla società, in termini di dolore, vite umane e tanto altro? Dovrebbe restare in carcere, noi non siamo minimamente presi in considerazione”. Sono le parole di Daniele Ripani, nipote di Giovanni Ripani, poliziotto ucciso nel 1976 in Piazza della Vetra a Milano, nel corso di una violenta sparatoria con alcuni rapinatori della banda di Renato Vallanzasca. Avrebbe dovuto sposarsi pochi mesi dopo. “Questa persona non ha mai effettuato un serio percorso di recupero, altrimenti saremmo anche disposti ad accettarlo fuori – prosegue Ripani – cerca solo riflettori e ribalta, clamore che esalti le sue azioni con film e libri, lo ha già dimostrato”. Rispetto al dolore di suo padre, fratello del poliziotto ucciso, Ripani ha aggiunto “corre il rischio di incontrarlo in strada, per le vittime del dovere, che hanno perso i propri cari in delitti efferati non ci sono tutele, manca il rispetto di chi dovrebbe restare all’ombra invece di cercare fama, interviste in tv”. Alla famiglia Ripani, anni fa, arrivò una richiesta particolare “ci chiese di firmare la richiesta di grazia da inviare al Presidente della Repubblica – prosegue Daniele Ripani – ovviamente non firmammo, non si è mai pentito”. Suo zio morì nel trasporto in ospedale “mentre per fuggire la banda usò un bambino piccolo per farsi scudo, persone che poi hanno continuato a restare delinquenti”. Infine l’uomo ricorda “ci sentiamo dire continuamente che essere vittima è diventata un mestiere, quando assistiamo continuamente a delinquenti che girano l’Italia tenendo comizi e scrivendo libri. Non vogliamo chiudere la bocca a nessuno, ma un po’ di rispetto, di vergogna e di silenzio, sarebbero doverosi”.
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