L'associazione, nata nel 2007 su iniziativa della figlia del maresciallo capo Stefano Piantedosi, ucciso da un pluriomicida, e di altre famiglie nella stessa situazione, conduce le sue battaglie puntando l'attenzione sulla vittima. Non sui carnefici.
Rosso, grigio e blu: i colori delle forze dell'ordine e delle loro divise. Un cuore per testimoniare l'amore con cui i figli e le mogli ricordano i loro cari, portando avanti i valori condivisi da padri e mariti, morti mentre svolgevano la propria missione. Una piccola macchia rossa, in mezzo al cuore, che parla di una ferita, del segno lasciato da un atto criminoso. Simboli che contraddistinguono il logo dell'Associazione Vittime del Dovere, nata nel 2007 a Monza, che mette in evidenza il cuore spezzato dal dolore delle famiglie delle forze dell'ordine, per chi è caduto sotto colpi criminali mentre era in servizio. E una frase, che balza subito agli occhi dei navigatori del sito dell'associazione: "Chi dona la vita per gli altri resta per sempre".
"Volevamo che il logo – spiega Emanuela Piantadosi, presidente dell'associazione – rappresentasse qualcosa che avesse già implicito il messaggio sulla nostra attività, interamente dedicata all'aiuto nei confronti dei familiari, orfani e vedove, di uomini delle forze dell'ordine il cui sacrificio vogliamo non sia vano". Intorno all'associazione, pensata nel 2004 e nata solo tre anni dopo, ruotano soprattutto persone rimaste invalide e orfani. Una disgrazia che ha toccato Emanuela in prima persona. Suo padre, Stefano Piantadosi, maresciallo capo dei carabinieri in una località vicino Opera, è stato ucciso nel 1980 durante un servizio di ordine pubblico per una gara ciclistica.
Individuando fra gli spettatori una persona dall'atteggiamento sospetto, successivamente identificato come Ferruccio Zanoli, pluriomicida, che aveva esibito un documento falso, il maresciallo decise di portarlo in caserma per ulteriori accertamenti (quella di Locate Triulzi, nella quale prestava servizio). Fece salire l'uomo sul sedile posteriore del mezzo militare, accanto a lui c'era un altro carabiniere. Piantadosi iniziò a guidare, ma durante il tragitto accadde qualcosa di imprevisto: il militare che si trovava dietro con Zanoli lo sottopose a perquisizione. Il malvivente tirò fuori una pistola, sparando alla nuca del maresciallo capo, freddandolo. Era un giorno d'estate a Locate Triulzi, e la vita di Emanuela, di sua madre e suo fratello sarebbe cambiata per sempre.
"Avevo 14 anni, mio fratello 5, mia madre 38 – racconta la presidente dell'associazione – per noi significò perdere un punto di riferimento perché la nostra vita ruotava attorno a lui. Per un anno mio fratello non ha parlato, è stato molto segnato. Io ero più grande e ho reagito diversamente, ma lui ha avuto un vero e proprio rifiuto dell'Arma, tanto che non ha neppure fatto il servizio militare. Io volevo seguire le orme di mio padre, avevo vissuto in caserma molti anni e avevo acquisito la forma mentis militare. Ma allora le donne non potevano entrare nei carabinieri, così ho intrapreso altre strade".
Ma per Emanuela i colpi bassi non si sono fermati lì: qualche anno dopo la morte del padre, 15 anni fa per la precisione, anche sua madre l'ha lasciata in seguito a una malattia. Da allora, racconta, "io e mio fratello ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo iniziato a lavorare". E tre anni fa è nata l'associazione Vittime del Dovere: una comunità che unisce le tante storie di sofferenza di chi si è sentito solo, abbandonato, dopo la perdita del proprio caro. Sul sito Internet ci sono le vicende e le foto delle vittime elencate una ad una, in ordine alfabetico, quasi a formare un unico grande libro di testimonianze da sfogliare, anche se in maniera fugace, per onorare la loro memoria.
"La mia storia è una come tante – spiega la Piantadosi – e gli ultimi decenni, dagli anni '70 in poi, sono stati insanguinati da tanti episodi criminali. E le forze dell'ordine erano sempre in prima fila, senza risparmiarsi. Da questa esperienza dolorosa è nato l'incontro di tante famiglie: insieme – fa notare la presidente dell'associazione – ci siamo resi conto che la legislazione aveva creato, forse involontariamente, una disparità tra le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata con quelle del dovere".
Quel che è peggio, commenta Piantadosi, è che "l'attenzione non è stata mai puntata sulla vittima, che invece noi vogliamo porre in rilievo. L'attenzione si è sempre spostata sul carnefice. Per questo abbiamo scritto valanghe di lettere alle forze politiche, focalizzandoci sulle vittime, in particolare quelle del dovere, rappresentanti delle Istituzioni, che tutti sembrano aver dimenticato". Solo recentemente, infatti, il maresciallo capo Stefano Piantedosi ha ricevuto un'onorificenza da parte della popolazione di Locate Triulzi, in segno di stima e riconoscenza per l'attività svolta: "Su iniziativa del Comune – fa notare – ha avuto questo riconoscimento, e per noi è stato motivo di consolazione sapere che a quella popolazione è rimasto un buon ricordo".
Il maggior contributo all'associazione, dice la presidente, arriva dagli invalidi e dagli orfani, un mondo, dice "molto particolare. Ci sono persone che rifiutano l'idea che il padre sia stato ucciso e non vogliono sentirne parlare. Altri, invece, decidono di seguirne le orme, indossando la divisa: per molti ragazzi del Sud è un ottimo sbocco professionale, per altri c'è una vocazione forte a dare continuità al lavoro del padre. Gli orfani sentono molto il senso delle Istituzioni – fa notare Emanuela - e quegli ideali non vengono meno con la morte dei padri. Molti hanno avuto difficoltà di inserimento nella società, problemi psicologici incredibili: l'orfano subisce una circostanza, deve trovare risposte a determinate domande, e cade in crisi, perché la prova da superare è enorme".
Ma in ogni caso l'assistenza, soprattutto psicologica, è fondamentale. Oltre quella, secondo Piantadosi, è necessario che i familiari delle vittime del dovere vengano tempestivamente informati su cosa succederà loro, dopo la perdita del proprio caro. Per questo sono state fatte molte sollecitazioni affinchè fossero istituiti dei call center presso i ministeri dell'Interno e della Difesa. "Eravamo bombardati di telefonate – spiega Piantadosi – qualcuno poteva accedere al nostro sito Internet, ma per molte vedove non era possibile".
Oggi quei call center sono attivi: "Abbiamo sollecitato l'amministrazione a mettersi in contatto con le vittime in automatico, facendo in modo che gli aventi diritto fossero informati sui benefici cui potevano accedere. E per fare in modo che il sacrificio dei nostri cari non fosse vano. La prima comunicazione da fare alle famiglie che perdono il proprio caro, è che lo Stato non li ha abbandonati".
Tratto da nannimagazine.it
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