Le famiglie delle vittime convocate per un parere su Gallinari
Luciano Borghesan, Massimo Numa
TORINO
In processione ripercorrono la tragedia che ha cambiato loro la vita, in modo dolorosissimo e irreversibile. Per primi, ieri, è toccato a Dedi e Andrea Casalegno andare in questura, chiamati dal presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna Francesco Maisto per esprimersi sul «ravvedimento» di Prospero Gallinari, capo storico delle Brigate Rosse. In ogni parte d’Italia i famigliari delle vittime del terrorismo devono esprimere la loro posizione sulla richiesta dell’ex Br di ottenere la libertà condizionale, dopo quindici anni di carcere e quattordici agli arresti domiciliari per motivi di salute.
I funerali del giornalista Carlo Casalegno
Sono dodici le vittime delle Br a Torino: Gallinari (ergastolo per l’omicidio Moro) ha dovuto risponderne perché rivendicò le uccisioni. Così vedove, genitori, figli, fratelli e sorelle, una quarantina di torinesi, saliranno lo scalone di via Grattoni per dire ciò che pensano di chi condannò a morte Rosario Berardi (1978), Carlo Casalegno (1977), Pietro Coggiola (1978), Fulvio Croce (1977), Lorenzo Cutugno (1978), Sebastiano D’Alleo (1982), Carlo Ghiglieno (1979), Salvatore Lanza (1978), Giuseppe Lorusso (1979), Antonio Pedio (1982), Giuseppe Pisciuneri (1980) e Salvatore Porceddu (1978).
Altri otto uomini persero la vita in Piemonte sotto il fuoco di diverse sigle terroristiche. Molti dei famigliari delle vittime delle Br respingono l’invito a presentarsi alla Digos. Sono indignati per un metodo che, dice il figlio del magistrato Coco di Genova (ucciso nel 1976), «fa mettere sale a piene mani dentro ferite aperte».
Andrea e Dedi, la vedova di Casalegno, vicedirettore de La Stampa, ieri hanno voluto capire il motivo della convocazione: «E’ un fatto grave, sbagliato - dice il figlio Andrea -, mi sono laureato in Diritto penale e ho studiato che chi attenta alla vita umana attenta a un bene di tutti: è lo Stato che deve occuparsene, la magistratura deve decidere in assoluta indipendenza: non si può chiedere alle vittime assenso o dissenso». Circa il «ravvedimento», aggiunge il figlio di Casalegno, «per mia convinzione morale, io sono lontano dal perdono. La responsabilità dell’omicidio resta: uno potrà diventare ex terrorista, ma mai un ex assassino; mia madre ed io non concediamo alcun perdono e non ci sentiamo di farlo quasi godessimo di una condizione superiore». Gran parte delle vittime del terrorismo sono state uccise in quanto «servi dello Stato», perché rispettosi delle istituzioni, e nel loro nome lo sono anche i congiunti: «Una volta scontata la pena, la legge prevede che uno torni in libertà: giudichi il magistrato in base alle condizioni», aggiunge Andrea. Lo stesso concetto che enuncia Dante Notaristefano, presidente dell’Associazione Italiana Vittime del Terrorismo, il quale avverte che non si è obbligati a presentarsi.
«Mi hanno già chiamato due volte per la richiesta di libertà di Teresa Scinica e Francesco Pagani Cesa, con Marcello Ghiringhelli gli assassini di mio fratello, che fu ammazzato “faccia a terra” con il collega Pedio, guardie giurate in banca - racconta Raffaele D’Alleo -. Lo Stato si ricorda dei nostri cari e di noi solo di fronte alle esigenze degli assassini. Hanno ucciso Ignazio e Antonio come cani, li hanno chiamati “bastardi”. Si sono ravveduti? Ghiringhelli fuori per buona condotta evase, e quando fu riarrestato era di nuovo alle prese con le armi. Il 21 ottobre scorso sono 28 anni che fu trucidato mio fratello, 28 anni di sofferenza e di rabbia che finiscono per pagare anche i miei affetti. Quale perdono?! Io li odio tutti».
Articolo tratto da La Stampa
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