Omicidio Mario Cerciello Rega, condannati all'ergastolo Finnegan Lee Elder e Christian Gabriel Natale Hjorth. È quanto hanno deciso i giudici della prima corte d'Assise di Roma, presieduta da Marina Finiti, nel processo sull'omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega ucciso con undici coltellate il 26 luglio del 2019 nella Capitale. La sentenza è arrivata dopo oltre tredici ore di camera di consiglio. Per i due imputati, accusati di concorso in omicidio, il pm Maria Sabina Calabretta aveva chiesto la condanna all'ergastolo. Nell'aula bunker di Rebibbia alla lettura del dispositivo sono presenti i familiari del vicebrigadiere e la vedova Rosa Maria Esilio.
La vedova di Cerciello Rega è scoppiata in lacrime alla lettura della sentenza di condanna all'ergastolo per Finnegan Lee Elder e Christian Gabriel Natale Hjorth. La donna, che è stata presente a tutte le udienze del processo, dopo la lettura del dispositivo ha abbracciato piangendo il suo avvocato e i familiari del marito. «Mario era il carabiniere di tutti: ringrazio tanto i giudici per questa sentenza» ha spiegato la vedova tra le lacrime all'uscita dal tribunale. «Mario era un servitore dello Stato che meritava rispetto e onore» ha aggiunto la donna.
«Questa sentenza rappresenta una vergogna per l'Italia con dei giudici che non vogliono vedere quello che emerso durante le indagini e il processo. Non ho mai visto una cosa così indegna. Faremo appello: qui c'è un ragazzo di 19 anni che è stato aggredito. Abbiamo assistito al solito tandem procure e giudici». Lo ha affermato l'avvocato Renato Borzone difensore di Finnegan Lee Elder condannato all'ergastolo per l'omicidio Cerciello.
«Sentenza severa ma corrispondente alla gravità e atrocità del fatto». Inoltre ha tenuto conto anche del «comportamento dei ragazzi che non hanno dato segno di pentimento». La replica del professor Franco Coppi, legale della famiglia Cerciello Rega. «L'età da sola non può costituire una attenuante. Natale, come sostenuto dal pm, è stato il regista della vicenda. Non ci sono nè vincitori nè vinti»
«È una sentenza ingiusta, errata e incomprensibile, che non potrà in alcun modo reggere ad un appello». Lo afferma all'Adnkronos l'avvocato Francesco Petrelli che con il collega Fabio Alonzi ha difeso Christian Gabriel Natale Hjorth, condannato all'ergastolo con Finnegan Lee Elder nel processo sull'omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega.
«È stata la difesa più impegnativa che ho dovuto affrontare. Ho fatto molti processi in Corte di assise con richieste di ergastolo e mi è capitato anche spesso di difendere degli imputati giovanissimi, ma mai come in questo caso le due cose si sono sovrapposte in maniera così drammatica - aggiunge -. Il processo concentra su di sé una serie di questioni giuridiche sostanziali, processuali e probatorie che toccano in profondità i temi fondamentali del processo penale. Quanto fosse infondata l'ipotesi accusatoria secondo la quale Gabriel Natale avrebbe partecipato all'omicidio del povero vicebrigadiere Cerciello resta dimostrato anche dal fatto che la Pm, la Gip e le stesse parti civili abbiano ogni volta ipotizzato e indicato una diversa forma di concorso e di dolo: morale, materiale, diretto, eventuale» sottolinea Petrelli.
«L'omicidio del povero vicebrigadiere fu invece un fatto a lui totalmente estraneo, del tutto atipico, imprevisto ed imprevedibile, frutto di un fatale concatenarsi di eventi che non poteva essergli in alcun modo addebitato. È per questo motivo - conclude l'avvocato Petrelli - che ho difeso Gabriel con passione convinto sin dall'inizio della sua innocenza».
L'Associazione vittime del dovere, parte civile nel processo per omicidio Cerciello, sottolinea con l'avvocato Stefano Maccioni «l'importanza del riconoscimento operato per l'ennesima volta da una Corte di Assise nell'affermare la legittimazione processuale della Associazione Vittime del Dovere che ha voluto affiancare i familiari in questa lotta per l'affermazione della giustizia». L'associazione ricorda di essere stata «l'unica organizzazione ammessa come parte civile». Per il presidente dell'associazione Emanuela Piantadosi, «i processi penali sono, per noi familiari, fonte di grandissimo turbamento soprattutto quando paradossalmente si cerca di trasformare i carnefici in vittime e le vittime in carnefici. Siamo testimoni della forza d'animo e del coraggio dei congiunti di Mario che attivamente hanno partecipato alla ricostruzione di quanto accaduto quella tragica notte. Abbiamo voluto far sentire ancora più forte la nostra vicinanza a Rosa Maria, alla famiglia di Mario e all'Arma dei Carabinieri in un procedimento in cui si è dovuto assistere durante ogni udienza al tentativo di mettere in discussione, addirittura, la rispettabilità, la professionalità, l'umanità e l'onorabilità di un uomo che, con coraggio, ha sacrificato la propria vita per garantire il valore della sicurezza. Principio, quello della sicurezza, fondamentale per la convivenza civile, tutelato quotidianamente dal lavoro silenzioso e responsabile di tutte le forze dell'ordine e forze armate nella nostra nazione».
La requisitoria: ucciso con 11 coltellate
Nella requisitoria con cui il pm aveva sollecitato il carcere a vita per i due imputati, il 6 marzo scorso, il rappresentante dell'accusa, Maria Sabina Calabretta, ha affermato che questa vicenda è caratterizzata da «fatti gravi» e «grave è l'ingiustizia che è stata commessa contro un uomo buono, che stava lavorando». Nel corso della requisitoria il magistrato ha ricostruito, in modo dettagliato, quanto avvenuto quella notte di luglio di due anni fa. «Tutti ci dicono che Cerciello e Andrea Varriale (in pattuglia quella notte con il vicebrigadiere ndr) - ha puntualizzato il pm - quando incontrano Brugiatelli si comportano in modo professionale e non confidenziale. Possiamo escludere una conoscenza pregressa con lui».
Il pm ha quindi raccontato della «fuga» dei due americani nell'albergo, nella zona Prati, dove alloggiavano da alcuni giorni. E ha ricostruito le telefonate intercorse tra loro e Brugiatelli per organizzare la riconsegna del cellulare e dello zaino. I due svolsero anche una sorta di perlustrazione di via Gioacchino Belli, la zona dove sarebbe dovuto avvenire l'incontro, verificando pure la presenza di videocamere. «Non fu legittima difesa, entrambi sono andati all'incontro preparandosi, erano pronti a tutto. Non si sono preoccupati della salute della vittima, sono scappati e hanno nascosto il coltello», ha dichiarato in aula il pm.
Ricostruendo le fasi della drammatica colluttazione, il rappresentante dell'accusa ha spiegato che «i carabinieri si sono qualificati, hanno mostrato il tesserino ed erano in servizio: si sono avvicinati frontalmente, non alle spalle. Cerciello non è stato ammazzato con una coltellata ma con undici fendenti in meno di trenta secondi. La vittima non avuto il tempo di elaborare nessuna difesa attiva» e comunque «avrebbe potuto poco anche se fosse stato armato e non lo era».
Sostieni l'associazione!
Fai una donazione con