Si intitola “Faccia d’angelo” la nuova mini serie prodotta da Sky Cinema, che racconta la storia di Felice Maniero, criminale definito come “abile e ambizioso, in grado di tenere banco sulle pagine di cronaca nera per anni, con colpi efferati, rapine spettacolari e clamorose evasioni”.
La nostra Associazione, che unisce le famiglie di caduti ed invalidi appartenenti alle Forze dell’Ordine e Forze Armate colpiti da mano criminale durante lo svolgimento dei propri compiti istituzionali, sta denunciando da tempo come la televisione e la cinematografia italiana ha fatto propria una nuova “epica criminale” che gira intorno ai nomi reali della malavita nostrana e ripropone le “imprese” di assassini senza scrupoli, legittimando la figura di eroi negativi. Purtroppo la macchina del business non tiene conto dell’impatto che queste operazioni mediatiche hanno sulle vittime di reato.
La stessa giustizia italiana nei processi di omicidio non considera i diritti delle vittime e dei loro familiari, non dà un valore etico al danno subito. Il diritto alla vita delle vittime non viene valorizzato, non è un argomento che ha un peso specifico nei processi penali. Le famiglie delle vittime vengono ormai costantemente umiliate dalla costruzione allegorica della Storia italiana ad opera di speculatori del dolore che permettono a volgari assassini di assurgere al ruolo di protagonisti e a modelli di vita. E quando i familiari, alzando la testa, tentano di proporre riflessioni di carattere etico e storico a chi ha come unico obiettivo l’audience e il “fare cassetta”, vengono spesso accusati di nutrire risentimento e quindi relegati al ruolo di scomodi fardelli che ostacolano arte e libertà di espressione.
Il rispetto per la memoria delle vittime e la verità storica non sono certamente argomenti d’interesse per i faccendieri che monetizzano il sangue versato dagli innocenti. La realtà quotidiana di noi orfani, vedove e genitori di coloro che hanno donato la propria vita per lo Stato non è considerata. Disagi psicologici, paure, vuoti che si sono materializzati a seguito del tragico evento, causato dalla mera crudeltà umana, spezzando la serenità alla nostra esistenza, sono ignorati dalla collettività e dallo stesso Stato. Quest’ultimo, pur garantendo un legittimo percorso di recupero educativo per i carnefici, dentro e fuori dal carcere, non riserva le stesse attenzioni per le famiglie delle vittime: non viene infatti concretamente attuato un percorso di supporto psicologico per le vittime di reato come esiste in altri Paesi. E il precario equilibrio, che ciascuno di noi familiari si costruisce in totale autonomia, viene continuamente minato allorquando vediamo che i carnefici dei nostri cari vengono spacciati per archetipi di vita, o quando i valori per i quali i nostri congiunti hanno sacrificato la vita vengono stravolti. Ma tutto ciò sembra non interessare.
Ci chiediamo cosa potrebbe fermare questa fabbrica dell’orrore e dell’errore. Forse facendo leva sull’unico interesse che conta per i businessman del dolore, ossia il denaro, potremmo per assurdo chiedere risarcimenti morali, in via giudiziaria, per la prostrazione che genera la mitizzazione degli assassini dei nostri familiari. Lanciamo oggi questa provocazione pur di arginare la tempesta di fango che insozza l’immaginario delle giovani generazioni e propone i criminali in modo seducente.
La nostra Associazione ha già in passato cercato di sensibilizzare il mondo politico sulla questione delle memorie criminali, tentando di far approvare proposte di legge che impediscano ai criminali di trarre profitto dal racconto dei loro reati, salvaguardandone comunque la libertà di espressione. Tuttavia questo argomento, già risolto all’estero, in Italia ad oggi non è ancora affrontato.
I mass media svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione della coscienza collettiva di un Paese. E se gli stessi mezzi di comunicazione lanciano messaggi contrastanti, arrivando persino a banalizzare il male e il dolore, è perché trovano terreno fertile nel lassismo della nostra società. Ma cosa può succedere se una persona fragile assiste a tale mitizzazione di personaggi negativi, o se lo spettatore è un adolescente, persona immatura proprio per la fase di crescita che sta attraversando? Ecco allora balzare agli onori della cronaca, se ne è parlato nei giorni scorsi ed è solo l’ultimo episodio in ordine di tempo, una baby gang, composta da ragazzini poco più che adolescenti che operando con la freddezza di criminali esperti si dedicava a rapine, terrorizzando la comunità locale. Nel covo dei baby rapinatori venivano rinvenuti anche un televisore e un video registratore con film e fiction relativi al repertorio dell’epica criminale italiana (Vallanzasca; La Banda della Uno bianca; Il capo dei capi), che rappresentano strumenti di suggestione capaci di caricarli e motivarli prima della consumazione del reato. Le nostre preoccupazioni hanno quindi iniziato a materializzarsi. E se anche un solo ragazzo, affascinato da modelli negativi, mette in pratica i crimini proposti da taluni film o mini serie, perché tollerati dall’indifferenza dell’opinione pubblica, allora significa che la collettività ha fallito.
L’Associazione Vittime del Dovere sta investendo tempo e risorse in progetti di educazione alla cittadinanza e alla legalità nelle scuole di ogni ordine e grado. Il nostro sforzo, quello della scuola, delle famiglie e delle Istituzioni viene vanificato da chi ribalta e distorce mediaticamente valori e principi che stanno alla base della convivenza civile e del rispetto per la vita umana. Se tali vicende devono essere necessariamente raccontate, allora è importante farlo nella maniera corretta, resistendo alla tentazione di creare degli eroi, di giustificare azioni disgustose e realizzando un racconto contestualizzato, basandosi sulla realtà dei fatti e sulla cruda psicologia degli assassini. Si deve mostrare ciò che è accaduto realmente e i veri effetti che si sono prodotti nella vita reale delle vittime e degli stessi criminali. Solo così il problema della glorificazione e del rischio di emulazione sarà evitato. Per concludere, interroghiamoci seriamente sugli inevitabili costi sociali, provocati dall’indifferenza dell’opinione pubblica che indirettamente favorisce il terreno fertile ai disvalori proposti dalla macchina del business cinematografico e televisivo che bersaglia i nostri figli.
Emanuela Piantadosi, presidente Associazione Vittime del Dovere
http://affaritaliani.libero.it/sociale/faccia-d-angelo-sky-cinema130212.html
Tratto da Affaritaliani.it
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