Per la legge esistono solo quelle di terrorismo e mafia, la criminalità comune non è considerata allo stesso livello.
Monza: nell’associazione 400 persone fra vedove, orfani e feriti delle forze dell’ordine
di Marco Galvani
Monza, 26 marzo 2009 - Emanuela aveva solo 14 anni quando un killer evaso dal carcere di Porto Azzurro freddò con un colpo di pistola suo padre. Suo padre si chiamava Stefano Piantadosi. Era un carabiniere. Maresciallo capo. Comandava la stazione di Locate Triulzi.
Era il classico maresciallo di paese. Tutti lo adoravano, tutti lo rispettavano. Era come il padre di una grande famiglia. Emanuela ricorda quella maledetta domenica di 29 anni fa come fosse oggi.
Suo fratello di anni ne aveva 5, sua madre 38. "Vivevamo in caserma e da un giorno con l’altro siamo dovuti andare via, di punto in bianco ci siamo trovati senza più la figura di riferimento della famiglia".
Gli occhi che tradiscono l’emozione, adesso Emanuela è una moglie e una mamma. Ha vissuto la sofferenza e le difficoltà di crescere senza un padre. Perché le medaglie non ti aiutano a campare. E allora ha deciso di combattere la sua battaglia per "mettere al centro il valore delle forze dell’ordine".
Fondando a Monza, nella Casa del Volontariato di via Correggio, l’associazione Vittime del dovere che riunisce oltre 400 persone fra vedove, orfani e anche feriti delle forze dell’ordine: carabinieri, poliziotti, vigili del fuoco, finanzieri, guardie forestali, agenti di polizia penitenziaria, vigili urbani, militari dell’Esercito, dell’Aeronautica e della Marina.
Tutto è iniziato nel 2004, quando dopo la strage di Nassiriya è stata emanata una legge a tutela delle vittime del terrorismo. Invece "per le altre vittime non è stato fatto nulla", puntualizza Emanuela Piantadosi. "Lo Stato, purtroppo, negli ultimi decenni ha riservato alle vittime del dovere una considerazione diversa a seconda che il carnefice fosse terrorista, mafioso o criminale comune - sottolinea Piantadosi -.
Eppure questi uomini e donne indossavano tutti la stessa divisa, avevano prestato lo stesso giuramento e hanno perso la vita, uccisi o feriti in servizio, perché rappresentavano le istituzioni". Il criminale comune, insomma, non dà abbastanza dignità alle sue vittime. "Non ci devono essere vittime più o meno degne perché i nostri padri, i nostri figli, i nostri mariti sono stati colpiti per il ruolo che rivestivano e per l’istituzione che rappresentavano". E invece quello Stato per cui loro hanno sacrificato la loro vita, li snobba. Massimo riconoscimento con le medaglie ma minima considerazione.
"Noi familiari - puntualizza la signora Emanuela - proviamo tutti lo stesso dolore e la disparità di trattamento ci ferisce". Non esistono vittime di serie A e vittime di serie B. Qualcosa è stato fatto, ma "ci sono ancora molti buchi, molte mancanze". "Le nostre famiglie, ad esempio - precisa la presidentessa dell’Associazione -, hanno diritto a un risarcimento ma non a un vitalizio o all’assistenza legale gratuita, e nemmeno all’esenzione del ticket, come invece succede per le vittime della mafia e del terrorismo".
Per questo da cinque anni lavorano nell’ombra insieme alle istituzioni, ai politici. Nel dicembre scorso è stato anche costituito un tavolo tecnico alla Presidenza del Consiglio dei ministri, presieduto da Gianni Letta, proprio per arrivare all’attribuzione concreta dei benefici che per ora sono solo sulla carta e completare quel processo di equiparazione tra le vittime delle forze dell’ordine già avviato con il Governo Prodi. "Sono necessari interventi sul piano normativo ma anche amministrativo e organizzativo proprio per armonizzare gli interventi".
In sostanza, parole dello stesso Governo, "per garantire modalità univoche di attuazione delle leggi e analizzare le possibilità di attuare la totale equiparazione nel trattamento assistenziale e pensionistico con le vittime del terrorismo, estendendo i benefici già previsti dalla legge in favore di
queste ultime a tutte le vittime del dovere".
Una svolta importante. Emanuela Piantadosi è (in parte) soddisfatta che la politica si stia muovendo. Tra l’altro nel sito internet del ministero dell’Interno "siamo riusciti ad ottenere l’inserimento di una sezione dedicata proprio alle vittime del dovere (con un link che rimanda direttamente al portale dell’Associazione, ndr) accanto a quelle del terrorismo e delle mafie".
Sostegno, assistenza ma anche certezza della pena. Perché "nella nostra associazione abbiamo delle vedove che sono state costrette a cambiare città perché per strada incontravano il killer del loro marito uscito dopo qualche anno di carcere grazie ai vari benefici di legge".
di Marco Galvani
LE STORIE
Morti durante rapine posti di blocco o durante i soccorsi
"Persone che hanno sempre messo davanti a tutto l’altruismo. Uomini che hanno sacrificato la loro vita e i loro affetti per lo Stato". Nel triste elenco delle vittime del dovere e dei loro familiari ci sono anche agenti della polizia penitenziaria, vigili del fuoco, addetti al soccorso alpino
di Marco Galvani
Monza, 26 marzo 2009 - Giorgio Ardizzone aveva solo 22 anni. Faceva il finanziere. Era in servizio alla Compagnia di Olgiate Comasco. Pattuglia anti-contrabbando. Insieme a quattro colleghi aveva istituito un posto di blocco. E lì, sulla provinciale Bizzarone Valmorea, è stato volontariamente travolto e ucciso dal conducente di un’auto, carica di bricolle, che non si è fermata all’alt.
Anche Davide Scamporrino era giovane: 28 anni. Anche Davide era un finanziere. Il 27 agosto di dieci anni fa stava rispondendo all’allarme lanciato da una motovedetta impegnata nell’inseguimento di un gommone carico di clandestino. In auto avrebbe dovuto raggiungere le coste davanti a Lecce, ma durante il tragitto esce di strada e si schianta contro un albero.
Cesare Mazzieri, invece, era un appuntato della Polizia di Stato. Era intervenuto in una rapina in banca. Banditi violenti, professionisti, con alle spalle una trentina di assalti anche a carceri per liberare alcuni complici. Appena scende dalla volante viene colpito da due proiettili calibro 22. I rapinatori riescono a fuggire facendosi scudo con tre ostaggi. Poliziotti, carabinieri, finanzieri. Ma non solo.
Nel triste elenco delle vittime del dovere e dei loro familiari ci sono anche agenti della polizia penitenziaria, vigili del fuoco, addetti al soccorso alpino.
Gennaro De Angelis è stato ucciso dalla camorra a pochi passi da casa, nel Casertano, all’inizio degli anni Ottanta. Lavorava nel carcere di Poggioreale ed era addetto alla ricezione dei pacchi per i detenuti. Si rifiutò di fare un favore a un camorrista: fu la sua condanna a morte.
Stefano Gottardi, invece, è stato tradito dalla montagna che tanto amava e che lo avevano spinto a mettere nel cassetto il diploma da perito chimico industriale per arruolarsi nella Guardia di Finanza di Certosa, stazione di soccorso alpino. Nel 2002 viene travolto da una slavina in Val Senales mentre a quota tremila partecipava alle operazioni di ricerca di un turista tedesco disperso.
"Persone che hanno sempre messo davanti a tutto l’altruismo - commenta il presidente dell’associazione Vittime del dovere, Elena Piantadosi -. Uomini che hanno sacrificato la loro vita e i loro affetti per lo Stato. Un esempio su tutti quello di un agente di polizia che a cinque giorni dalla pensione non ha esitato a intervenire per bloccare una rapina, pagando con la sua vita".
Caduti, ma anche feriti. L’appuntato dei carabinieri Antonio Altavilla è uno dei sopravvissuti dell’attentato di Nassiriya del 12 novembre 2003. Dall’operazione di pace Antica Babilonia all’operazione di Polizia "Notte di San Vito". Un maxi blitz per stroncare un traffico internazionale di droga con l’esecuzione di 350 ordinanze di custodia cautelare in carcere, nel corso del quale il sostituto commissario Carmine De Gennaro, in missione da Napoli alla Criminalpol di Milano, rimase gravemente ferito e costretto "al servizio in forma parziale".
Marco Galvani
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