Uranio impoverito Ministero condannato a risarcimento record
Mezzo milione a un militare malato di tumore Il paracadutista di leva Giambattista Marica si ammalò nel 1993 durante la missione Ibis in Somalia
MILANO - Una sentenza. Ma anche un atto d' accusa contro il ministero della Difesa. Perché, scrivono i giudici del tribunale civile di Firenze, il nostro ministero ha avuto un «atteggiamento non commendevole e non ispirato ai principi di cautela e responsabilità», in pratica ha «ignorato le informazioni in suo possesso», non ha tenuto conto delle «cautele adottate da altri Paesi» e, non ultimo, «non ha impiegato tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei suoi militari». Parliamo della contaminazione da uranio impoverito e di una delle tante cause civili aperte da ex soldati tornati ammalati dalle missioni all' estero. Il militare si chiama Giambattista Marica e fu impegnato nella «missione Ibis» in Somalia come paracadutista di leva per otto mesi: da dicembre ' 92 a luglio ' 93. Di quei mesi di fatica conserva mille ricordi e un tumore, il linfoma di Hodgkin. Oggi aspetta un fegato nuovo e prova a immaginare una vita migliore di quella vissuta in questi ultimi anni. Non gli risolveranno il problema ma potranno certo aiutarlo i 545.061 euro di risarcimento (cifra record) che i giudici della II sezione civile gli hanno riconosciuto mettendo a fuoco per la prima volta il concetto della «omessa diffusione delle informazioni», come la chiama il suo avvocato, Emilia Maria Angeloni. Il tribunale parte da una certezza stabilita dai suoi consulenti tecnici: c' è un nesso di causalità fra quegli otto mesi in Somalia e quindi fra l' esposizione di Giambattista all' uranio impoverito e la sua malattia.
Detto questo il ministero della Difesa, dice la sentenza, «sapeva, doveva ed era tenuto a sapere dell' uso di ordigni all' uranio impoverito, della sua pericolosità e dei rischi ad esso collegati e doveva conseguentemente ispirare la propria azione a principi di cautela e protezione, nella salvaguardia del personale da pericoli incombenti, diffusi, ulteriori e diversi dall' ineliminabile rischio insito nel "mestiere di
soldato"». «È il riconoscimento di un principio sacrosanto che andiamo predicando da anni. Una sentenza storica» commenta Falco Accame, presidente dell' associazione nazionale che assiste le vittime delle Forze Armate. I giudici hanno seguito la linea indicata dalla difesa di Giambattista. L' avvocato Angeloni ha recuperato anni di documentazione internazionale per dimostrare che il rischio legato all' uranio impoverito era conosciuto e che non tenerne conto fu «un gravissimo errore». «Al di là delle raccomandazioni che erano o dovevano essere note al ministero - considerano i giudici - il fatto che ai militari americani fosse imposta l' adozione di particolari protezioni, anche in mancanza di ulteriori conoscenze, doveva allertare le autorità italiane». E invece no. I documenti diffusi dal Pentagono nel 93, le raccomandazioni della Nato dell'84, i casi noti come «sindrome del Golfo» dopo la prima guerra in Iraq nel ' 91, le istruzioni diramate dal comando americano sulle modalità operative per evitare la contaminazione dei soldati: tutto ignorato. Gli stessi militari, annota la sentenza, «hanno riferito di essere sempre stati rassicurati sull' inutilità di quelle misure...».
545 Mila euro È il risarcimento riconosciuto a Giambattista Marica per la malattia contratta durante la sua missione in Somalia, legata all' esposizione all' uranio impoverito.
Giusi Fasano
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(13 gennaio 2009) - Corriere della Sera
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