— MONZA —
IL CONSIGLIO di Stato dà ragione all’Associazione vittime del dovere eliminando «le discriminazioni esistenti relative alle differenti tutele previste per i servitori dello Stato che, indossando una divisa, sono caduti o rimasti invalidi per mano della criminalità comune, organizzata o del terrorismo». Il supremo organo di giustizia amministrativa con due sentenze ha rimosso «una grave sperequazione tra le vittime del dovere e le vittime del terrorismo, tuttora esistente nonostante il principio di totale equiparazione fissato dalla legge» e riguardante l’assegno vitalizio. Si tratta di una somma di 500 euro che però è stata estesa alle vittime del dovere nella misura di 258 euro in base a un Decreto presidenziale del 2006 («assegno vitalizio, nella misura originaria prevista di 500mila lire, pari ora a 258,23 euro, soggetta a perequazione annua»). Adesso, però, «il Consiglio di Stato ha per la prima volta stabilito che il Decreto non poteva modificare in senso restrittivo l’ambito dei soggetti destinatari dei benefici in questione, e nemmeno la misura dell’assegno vitalizio, impedendone l’adeguamento in 500 euro - spiegano dall’Associazione -. Secondo il Consiglio di Stato una diversa applicazione della norma comporterebbe “una ingiustificata disparità di trattamento tra categorie di soggetti posti sullo stesso piano in relazione alle conseguenze fisiche di tipo negativo riportate in occasione di eventi di violenza comune e terroristica”». Questo «comporterà non solo l’innalzamento dell’assegno mensile, ma anche l’erogazione degli arretrati».
«SIAMO felici per l’importante risultato raggiunto - le parole di Emanuela Piantadosi, presidente dell’Associazione -, nello stesso tempo ci rammarichiamo per essere stati costretti a vedere riconosciuto un nostro diritto da un giudice invece che dal Governo e dal Parlamento. Un grande passo per giungere alla concreta equiparazione che rimane, a oggi, ancora da completare, poiché quotidianamente vedove, orfani, invalidi e genitori, di chi ha sacrificato la propria vita per il bene comune, devono combattere contro una burocrazia che ostacola l’applicazione dei loro diritti».
di Marco Galvani
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