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24 OTTOBRE 2019
Avvenire - Pronuncia. La Consulta fa cadere il divieto dei permessi premio per gli ergastolani

Cade il divieto assoluto per gli "ergastolani ostativi" di accedere a permessi premio durante la detenzione. La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4 bis, comma 1, dell'ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualità della partecipazione all'associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, spiega Palazzo della Consulta, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo.

L’attesa per la pronuncia della Corte costituzionale era attesa con sentimenti contrastanti: da un lato, c'erano le aspettative di chi è condannato al «fine pena mai» per gravissimi reati (come associazione mafiosa o terrorismo), ma anela la possibilità di brevi momenti fuori dal carcere da trascorrere coi propri cari. Dall’altro, c’è la preoccupazione delle procure antimafia e di associazioni come quella delle famiglie delle vittime del dovere, che auspicavano una decisione «giusta» che, oltre ai diritti dei detenuti, considerasse «la sicurezza dei cittadini» e il «rispetto» del «dolore dei familiari» delle persone uccise.

Nel 2003 la Consulta aveva respinto i dubbi di costituzionalità. Nei giorni scorsi, tuttavia, era intervenuta una sentenza-macigno della Corte europea dei diritti dell’Uomo che (accogliendo il ricorso di Marcello Viola, condannato per fatti di ’ndrangheta) ha giudicato l’ergastolo ostativo un «trattamento inumano e degradante», chiedendo all’Italia di modificare la legge.

In ogni caso, la questione all’esame della Consulta non è esattamente sovrapponibile. I ricorsi riguardavano infatti la mancata concessione di permessi premio a due ergastolani "ostativi" che non hanno aderito a programmi di collaborazione, Sebastiano Cannizzaro e Pietro Pavone. I dubbi di costituzionalità erano stati sollevati dalla Cassazione e dal Tribunale di sorveglianza di Perugia, convinti che l’articolo 4 bis contrasti col principio di ragionevolezza e con la finalità rieducativa della pena (articoli 3 e 27 della Carta).

Coloro che auspicavano, come è avvenuto, un parere negativo della Consulta sostenevano che la pronuncia di incostituzionalità dell’articolo 4 bis sarebbe per molti ergastolani «uno stimolo a vedere la luce in fondo al tunnel». A loro parere, non si avrebbero ripercussioni sul numero delle collaborazioni di giustizia (circa 1.000 persone sotto protezione, insieme a 5mila familiari), né sul regime di carcere duro ex articolo 41 bis. «Se il condannato ha diritto al silenzio» e non collabora perché teme per l’incolumità propria o dei congiunti, argomenta l’avvocato Raschi, «il tribunale di sorveglianza deve poter valutare le ragioni del suo silenzio». Al contrario, gli avvocati dello Stato Marco Corsini e Maurizio Greco avevano chiesto di non «demolire una norma che ha sempre funzionato» nella lotta a mafia e terrorismo. Attualmente, i condannati all’ergastolo ostativo sono 1.250. La decisione della Consulta inciderà sull’esistenza di molti di loro.

Tratto da Avvenire

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