Chi dona la vita per gli altri resta per sempre
Cronologia delle attività
27 GENNAIO 2021
Giornata della Memoria: “Siate custodi della Memoria perenne”. Riflessione del Dott. Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

In occasione della Giornata delle Memoria, il Dott. Gustavo Cioppa, Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia, ha voluto dedicare una sua personale riflessione affidandola alle pagine del giornale "Il Ticino" (http://www.ilticino.it/2021/01/25/siate-custodi-della-memoria-perenne/).

Riportiamo di seguito il testo:

Non possiamo capirlo; ma possiamo e dobbiamo capire
di dove nasce e stare in guardia. Se comprendere è
impossibile, conoscere è necessario, perché ciò
che è accaduto può ritornare, le coscienze possono
nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”.

Primo Levi “Se questo è un uomo”

Come costruire una nuova forza interiore dopo essere stati all’inferno? Come ritrovare la consapevolezza di andare avanti e provare ancora gioia, dopo lo sterminio della propria famiglia, l’abbruttimento, la perdita dei valori? La fiamma usciva dai camini dei crematori, i convogli arrivavano ogni momento, il fumo nero copriva la volta celeste. Il Male era dentro Auschwitz e fuori, oltre il filo spinato, si estendeva fino all’orizzonte, e nemmeno sarebbe bastato alzare gli occhi al cielo per trovare un rifugio parziale. Tutto era oscurato, le coscienze, ogni cosa.

Ricordo le parole di Goti Bauer, sopravvissuta ai campi di sterminio, che durante un’intervista disse di non aver provato odio verso i propri aguzzini ma disprezzo. Per Goti nell’animo dei sopravvissuti si agitavano mille sentimenti, innanzitutto il dispiacere di non aver saputo soccorrere chi aveva bisogno. E Liliana Segre nel momento cruciale, la resa dei conti, all’indomani di quella marcia estenuante per la vita, iniziata al momento della Liberazione di Auschwitz e narrata magistralmente da Primo Levi ne “La Tregua”, quando Liliana si trovò davanti al nazista che gettò la pistola a terra. Avrebbe potuto raccoglierla e sparargli, ma non lo fece. No, lei non avrebbe potuto mai essere come loro, non scelse l’odio, ma la pace. L’odio avvelena la vita, non fa andare avanti di un passo, e si doveva invece marciare su e giù per mezza Europa, stremati dal freddo, dalla fatica, dalla fame, come il giorno prima quando si era ancora nell’inferno del Lager. L’odio avvelena la vita, sempre. Se perdonare è impossibile, disprezzare è lecito. Fanno male e bruciano quelle ferite. Non passano. Continuano a bruciare. Il dovere morale di ogni persona di buona volontà sta nel non dimenticare il mare di dolore dell’universo concentrazionario.

I soldati dell’Armata Rossa quel lontano 27 gennaio nei Lager di Auschwitz avevano impresso nei volti e negli sguardi un senso di pietà misto a vergogna. “La vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista” scrive Primo Levi in quello che è uno dei più importanti libri di tutta la letteratura del Novecento, “I sommersi e i salvati”. Ne “L’évasion”, testo fondamentale di Emmanuel Lévinas, il filosofo francese scrive: “ciò che la vergogna scopre è l’essere che si scopre”. Ma la vergogna, o senso di colpa, da dove viene? Dall’essere stato testimone a un oltraggio o dall’averlo subito. Alla riacquistata libertà dal Lager coincide il senso di colpa o vergogna. Quelle ferite – aver assistito a un oltraggio o averlo subito – non passano. Se la Liberazione di Auschwitz significò una seconda Nascita per i “salvati” “questa Nascita fu / una dura e amara agonia per noi, come / la morte, la nostra morte”. Questi versi di T. S. Eliot, da “Journej of the Magi”, una poesia del 1927, paiono profetizzare ciò che sentirono all’unisono i prigionieri dei Lager al momento in cui l’inferno era finito. Ma alcuni, molti, non ressero e si suicidarono al momento del ritorno alla ‘vita di prima’. “Ma non più a nostro agio qui, coi vecchi / ordinamenti, / tra un popolo straniero aggrappato ai / propri dèi. / Sarei lieto di un’altra morte”. Così si conclude la poesia di T. S. Eliot. Lo sguardo dei poeti è profetico. Di quel “riparo parziale” – il “partial shelter” di Eliot  – non godettero i “salvati”. Essi videro tutto il male di cui è capace l’uomo nella realtà, quel male totale il cui riparo parziale è concesso solo nell’utopia. I “sommersi” ne morirono e non poterono testimoniarlo, i “salvati” ebbero la ‘grazia’ della vita al fine di testimoniarlo. Per coloro che videro tutto quel male – e “il genere umano / non può sopportare troppa realtà.” (T. S. Eliot, Burnt Norton, Quattro quartetti, 1943) – per coloro cui toccò in sorte di sopportare subire patire la troppa realtà di Auschwitz, per i sommersi e i salvati di ogni Lager pesa quella che Primo Levi chiama “la vergogna del mondo”. Per evitarla occorre ricordare e testimoniare perpetuamente. Se non si desse agio alla memoria perenne di accadere, a salvaguardia di Libertà Uguaglianza e Fratellanza, si darebbe spago ai negatori della verità, i negazionisti di ieri e di oggi.

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