MONZA (nostro servizio particolare). Il 23 maggio è la Giornata dedicata alle Vittime di mafia. Sguardi commossi accompagnano cortei silenziosi, corone di fiori deposte seguendo pedissequamente rigorosi e onorevoli cerimoniali, per un attimo possono distrarre tutti dal fatto che si tratti di una celebrazione dalla doppia natura, come le due facce della stessa moneta.
Da un lato c’è la consapevolezza che per i familiari di coloro che sono caduti nell’adempiere il loro dovere, il dolore negli anni resta immutato, addirittura aumenta, difficilmente si attenua, dall’altro c’è il concetto di futuro.
Già, perché con quel dolore bisogna solo imparare a convivere, spesso in solitudine, spesso nel silenzio e nella trascuratezza che accompagna le Vittime del Dovere e il loro ricordo nei restanti 364 giorni dell’anno, da uno Stato che non ha ancora imparato a dare il giusto valore ai propri caduti.
La sofferenza di queste famiglie, di mogli, mariti, sorelle, fratelli, genitori e figli non dovrebbe trovare un compromesso, ma meriterebbe di tendere ad un obiettivo alto, quello del riconoscimento del giusto e doveroso valore dei propri Caduti.
La forza ed il coraggio che taluni rappresentanti delle associazioni a tutela delle Vittime del Dovere mettono nel raccontare e trasmettere la loro storia di dolore sono encomiabili per quanti ostacoli, sovente solo ideologici, devono oltrepassare per arrivare, un gradino dopo l’altro, a piccoli ma importanti riconoscimenti.
L’altro lato di questa moneta di valore, dicevamo, va individuato nel concetto di futuro.
Potrà sembrare anomalo o difficile da comprendere come sia possibile coniugare la parola futuro all’esempio di eroi caduti per mano mafiosa.
In realtà parlare di futuro è il modo migliore per rispettare ed onorare al meglio l’esempio che questi uomini hanno dato. Avere il coraggio di tentare di fare andare meglio il nostro Paese guardando ed aspirando ad un futuro migliore.
Avere il coraggio di cambiare le cose e di contrastare il fenomeno silente e strisciante dell’illegalità, del malaffare, del compromesso.
Si provi ad immaginare quanto e quale sia stato il coraggio di giovani rappresentanti delle Istituzioni che hanno messo nel loro agire, soli in parti d’Italia devastate dalle mafie, talvolta prendendo il posto di colleghi appena uccisi.
È stato il caso, ad esempio, del Capitano dei Carabinieri Mario D’Aleo, il cui sacrificio per la Patria viene ricordato quest’anno nel 40° anniversario.
Giovane ufficiale dell’Arma, romano, non esitò a sostituire nel 1980 il Capitano Emanuele Basile al comando dei Carabinieri di Monreale (Palermo), appena trucidato da un agguato mafioso.
Si presentò sicuro e coraggioso, portando avanti le indagini del collega ucciso, lavorando fianco a fianco con coloro che la storia italiana ricorderà (giustamente) come simboli della lotta alla mafia: il giudice Falcone e il giudice Borsellino.
Tre anni dopo Mario, un giovane sorridente affabile e gentile, un ufficiale devoto, tenace, animato da un profondo senso di giustizia, ricevette lo stesso trattamento: un brutale attentato, sotto casa della fidanzata, in conseguenza del quale perse la sua giovane vita a soli 29 anni, insieme a due valorosi Carabinieri che lo accompagnavano e che collaboravano con lui: Giuseppe Bommarito e Pietro Morici,
Ciascuno nella propria vita compie il proprio percorso di crescita e consapevolezza rispetto alle vicende che si trova ad affrontare.
Il Capitano D’Aleo nei primi anni ’80 rimase lì, fedele ai propri ideali e ai propri valori, probabilmente consapevole di essere in quel momento, in una particolare parte di Sicilia, l’unico baluardo dello Stato, insieme ai suoi Carabinieri fedeli.
Un vecchio collaboratore del Capitano D’Aleo in una circostanza pubblica ha ricordato il valoroso ufficiale richiamando alcuni suggerimenti che egli gli aveva dato: “Capitano badi bene prima di stringere la mano a chiunque, in questa terra, di considerare che qualcuno tra coloro che oggi la salutano con deferenza potrebbero nell’ombra essere portatori di interessi illeciti“.
Le parole di quell’anziano Carabiniere siciliano devono essere lette con sguardo rivolto al futuro.
Parlare di mafia nel 2023 significa avere coraggio e credere che il futuro del nostro Paese possa essere diverso dal passato ma anche dal presente, dove compromessi e malaffare la fanno ancora da padroni.
Raccontare le storie di chi ha sacrificato la propria vita per tentare di combattere la mafia significa avere la determinazione e la speranza che le cose nel nostro Paese possano cambiare.
Nella vita di tutti noi sin da quando si è giovani studenti si sentono e spesso molte persone parlare di mafia.
Esponenti politici, appartenenti ad enti ed associazioni, figure di riferimento di movimenti sociali di varia natura, esponenti di numerose categorie professionali, giudici, magistrati, operatori delle Forze di Polizia, giornalisti, professori.
Anche in questo caso ci vuole coraggio, che non significa contestare o non credere ma significa avere il coraggio di approfondire sempre quello che si sente ed ascolta.
Non considerare mai per verità assoluta quello che viene detto, poiché qualche volta un bel vestito può nascondere una persona disonesta. Un quadro con una bella cornice ed un vetro pregiato può nascondere una tela marcia. Belle parole possono essere pronunciate dal peggiore degli affaristi che ricerca interessi propri invece che il bene del proprio paese, ammalianti cercatori di consensi politici, invece che narratori di realtà.
L’antimafia non è un partito, è un valore universale.
Il sacrificio del Capitano D’Aleo e di tanti altri come lui dovrebbero indurci a pensare che nella vita bisognerebbe sempre avere il coraggio di scegliere di fare sempre la cosa giusta e non la più facile.
È troppo facile stringere mani a tutti e credere a tutto quello che ci viene raccontato senza chiedere ed approfondire, studiare chi ci porge la mano e chi ci rivolge la parola.
Scegliere di fare la cosa giusta e non quella facile significa avere coraggio.
Si sentono spesso molte parole, grandi discorsi, promesse e progetti che poi, nella realtà non si traducono in comportamenti concreti.
È per questo che la mafia, le mafie, oggi sono ancora lì, salde potenti e incontrastate.
È il coraggio della ricerca della verità, di quello che davvero viene fatto per combattere la mafia e tutte le altre forme di malaffare e compromesso che deve essere e diventare il faro della crescita e del cambiamento del nostro Paese.
Se effettivamente la legalità e la giustizia diventeranno la luce che illumina il cammino dei nostri cittadini allora vivremo in un Paese migliore.
Anche se ciò avvenisse tra molti anni, comunque saremmo stati un Paese capace di rendere onore e dare il giusto rispetto a chi ha dato la propria vita per lo Stato.
Se continueremo invece ad accontentarci di parole e discorsi vuoti continueremo a rimanere il Paese del compromesso, dell’ingiustizia e del malaffare.
Se legalità e giustizia continueranno ad essere messe in fondo all’elenco delle priorità del nostro Paese nulla mai cambierà.
Continueremo a vivere nel Paese dove la mafia domina e dove i mafiosi hanno l’ardire di presentarsi nelle caserme dei carabinieri a minacciare gli stessi Carabinieri, non astenendosi dallo sparare ad un capitano dei carabinieri nemmeno quando questo ha la propria bimba di due anni in braccio.
Le centinaia di persone che sono morte per combattere la mafia sono coloro che hanno avuto il coraggio di fare la cosa giusta, non la più comoda o la più facile, che non hanno accettato il compromesso delle parole vuote, non si sono accontentate dei falsi discorsi, ma sono andate in fondo al significato concreto di quello che facevano, del proprio dovere ed hanno provato a cambiare le cose.
Con i fatti, con i comportamenti, con il coraggio delle proprie azioni. Anche al costo della propria vita.
Se continueremo a pensare che rimanere neutrali, indifferenti al compromesso e alla illegalità sia la scelta giusta, se tolleriamo una qualsiasi situazione di ingiustizia, dalla più semplice alla più grave, abbiamo comunque scelto di stare dalla parte dei disonesti e del malaffare.
Abbiamo scelto di stare dalla parte dei mafiosi.
Si è scelto di fare la cosa più facile ma che non è certamente quella giusta.
Il coraggio delle proprie azioni e quello di provare avanti le proprie idee è la via giusta. Anche al costo della propria vita.
Prendere esempio da questi Eroi significa guardare al futuro, trovando il modo di applicare il coraggio nelle sue le molteplici forme di manifestazione.
Parlare oggi, nel 2023, di mafia e di carabinieri uccisi dalla mafia è un atto di coraggio. Già, perché farlo non può prescindere dal chiederci perché, ancora oggi, dopo decenni, gli investimenti nel comparto sicurezza, nelle forze di polizia, sia per numero che per formazione, non siano mai aumentati davvero.
Abbiamo Forze dell’Ordine e militari che tutto il mondo ci invidia, basterebbe poco per poterle fare lavorare a regime e fare davvero la differenza.
Oltre al riflettere sempre sul significato della lotta alla mafia, di come coloro che hanno dato la vita siano esempi di cui parlare sempre, ci dobbiamo sempre porre le domande giuste. Ci dobbiamo fare domande, sempre.
Lo dobbiamo al Capitano D’Aleo che quarant’anni fa ha dato la propria vita ed ai tanti altri che come lui sono caduti, soli ed indifesi.
Scritto da Valentina Rigano, giornalista e volontaria dell'Associazione Vittime del Dovere
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