L’AQUILA (nostro servizio particolare). Isolamento totale in una cella, guardati a vista dalla Polizia Penitenziaria, un incontro al mese con i familiari e colloqui separati da un vetro, eccetto per l’avvocato del detenuto e 2 ore al giorno di socialità.
Eppure, l’impressione che si ha oggi del regime del 41 bis (comma 2 dell’Ordinamento Penitenziario, la legge 354 del 1975) è un’altra, si dice che sia molto più vicino alla detenzione prevista per i detenuti sottoposti al regime di Alta sicurezza (As1, As2 e As3) che non all’idea del “carcere duro” che lo ha forgiato.
Più che un’idea una necessità che nel 1991 spinse Giovanni Falcone a coniare questo regime speciale, in materia di mafia e terrorismo, per interrompere i rapporti tra detenuti nelle carceri e spezzare i collegamenti all’esterno imbastiti da alcuni reclusi, ai vertici di certe associazioni criminali mafiose o terroristiche che, nonostante la detenzione risultavano e risultano influenzare ancora la vita oltre le mura.
Una proposta di legge, quella di Falcone, bocciata dal Parlamento, ma ripresa appena dopo l’attentato al giudice Paolo Borsellino, sotto l’egida del ministro della Giustizia Claudio Martelli.
Il “carcere duro” trovò forma e sostanza con il decreto-legge 306 dell’8 giugno 1992 convertito nella legge 356 del 7 agosto 1992 (Legge Martelli-Scotti).
Anche se originariamente il regime speciale avrebbe dovuto avere una durata limitata a 3 anni, vista la sua efficacia, con una serie di proroghe, se ne consolidò l’applicazione divenendo un regime stabile nel 2002.
La rigidità del “carcere duro” è stata “smussata”, in primis, dalle sentenze della Corte costituzionale recepite dalla legge 279 del 23 dicembre 2002 e poi “il 41bis è stato svuotato di contenuti”, ha dichiarato il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, accennando alle circolari del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) che dal 2010 ad oggi avrebbero alleggerito, di fatto, questo regime detentivo speciale.
In aggiunta, il regime del carcerario ordinario potrebbe apparire una bolgia infernale se confrontato con la solitudine dei 41bis, se l’opinione è che le carceri siano ancora sovraffollate.
Non è accettabile condividere in 6 una cella di pochi metri quadri.
Al 41bis questo non accade: televisore da vedere in solitudine, lettura dei libri in religioso silenzio, bagno personale.
Un lusso che negli altri circuiti, nei “gironi infernali”, non possono permettersi.
Al momento dovrebbero essere 12 le carceri italiane che gestiscono i 41 bis.
Dunque, 12 direttori che leggono in modo diverso il regime speciale e Gratteri, ha proposto di ridurre a 4 le carceri del 41bis suggerendo di rinvigorire l’organico del Gruppo Operativo mobile (GOM) con 150 poliziotti da aggiungere ai 600 attualmente operativi.
Il GOM è il reparto della Polizia Penitenziaria specializzato nella gestione dei “ristretti” sottoposti al 41 bis.
Tra i 12 istituti del 41 bis c’è il carcere “Le costarelle” di Preturo a L’Aquila.
E’ il primo e unico ad avere una sezione femminile interamente dedicata alle detenute sottoposte a questo regime speciale.
Preturo accoglie terroriste e donne di mafia. Ma L’Aquila al 41 bis ospita e cura il boss della mafia Matteo Messina Denaro, mandante della strage di Capaci in cui morirono i giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e gli uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Tra i 23 feriti di quell’attentato ci furono gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista dell’auto di Falcone, Giuseppe Costanza.
Il capo dei capi dal 17 gennaio di quest’anno è ospitato nel carcere aquilano e anche per questo bisognerà vigilare e stare molto attenti in questo territorio.
Il 41 bis deve essere applicato con rigore perché il boss non costruisca attorno a sé un ambiente favorevole.
Di fatto L’Aquila è al centro della ricostruzione post terremoto 2009 e in questo momento, nel capoluogo di regione, stanno prendendo forma i progetti da finanziare con il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr).
Vigilare su una situazione del genere è fondamentale per evitare che anche l’Abruzzo, di cui già si cominciano a notare esempi ed episodi di devianze criminali importanti e associativa, non diventi davvero una prateria per gli interessi delle associazioni criminali e delle organizzazioni mafiose.
Scritto da Maria Trozzi, giornalista e volontaria dell'Associazione Vittime del Dovere
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